I fatti del 12 settembre del ‘43
e una coraggiosa rilettura
Egregio direttore,
il suo mensile “Il Fieramosca” sta dando ampio spazio
alle iniziative in occasione del 70° anniversario dell’eccidio del
12 settembre 1943. Un plauso va a quanti (al prof. Di Cuonzo,
autorità, istituti scolastici, giornalisti, associazioni culturali,
singoli cittadini), operano nel preziosissimo lavoro di ricerca di
documenti, catalogazione, ricostruzione, approfondimenti… in
merito al progetto: “La Memoria a tutela dei valori nati dalla
Resistenza” e nella realizzazione delle numerose e preziose manifestazioni
svoltesi in questi ultimi anni.
La lettura dell’intervento del prof. Di Cuonzo sulla Gazzetta
di sabato 12 ottobre, mi ha fatto riflettere, in particolare,
sull’episodio avvenuto nella macelleria di piazza Roma il giorno
11 settembre 1943, e mi spinge ad avanzare una proposta, anche
tramite le pagine del Suo mensile.
Alcune premesse.
• Mons. Giuseppe Damato ha scritto nel suo libro: “Barletta nella
sua storia militare”, nelle pagine 123 e 139: “… il terzo (tedesco,
occupante della motocarrozzetta, ndr), benché rimasto
ferito, tentò di sfuggire alla cattura e di porsi in salvo nella
macelleria Basile, all’epoca ubicata in piazza Roma 26; fu
vana speranza: un civile, che aveva tolta l’arma omicida ad
un militare, lo crivellò di colpi, riducendolo in fin di vita: morì,
nel medesimo pomeriggio, nell’Ospedale Militare Territoriale,
ove era stato trasportato ormai agonizzante”. Era il Colonnello
Albino Karl (matr. 6836/204).
• La nostra città è stata insignita della Medaglia d’Oro al merito
civile, l’8 maggio 1998, e della Medaglia d’Oro al valor militare,
il 7 luglio 2003. Inoltre, con 11 medaglie d’Oro e 215 medaglie
d’argento attribuite a militari barlettani partecipanti alla prima e
alla seconda guerra mondiale, è la città più decorata d’Italia.
• Mi perdonino i responsabili della Ass. artistico-culturale CesacoopArte
se rileggo i seguenti versi della poesia “Ancora un
attimo” (prima classificata al concorso “La Stradina dei Poeti” ed. 2004) scritta per ricordare i vigili urbani e i due netturbini
trucidati:
“…Non possono farci scudo queste mani
Non bastano a preservare il nostro domani…
Addio vita, addio a chi incrociò la nostra con la sua esistenza
Addio a chi verserà lacrime straziate…”
Nel rileggere questi drammatici versi, non riesco a fare a
meno di pensare, direi di vedere con gli occhi dell’anima, che “queste mani” saranno state anche quelle dell’ufficiale tedesco
ammazzato nella macelleria di piazza Roma nell’estremo tentativo,
arrendendosi, di sfuggire alla rabbia omicida di un civile
barlettano; e che anche i suoi familiari avranno versato identiche “lacrime straziate”.
Ho pensato: la città di Barletta, non il responsabile (giacché “La guerra è una industria funeraria: una fabbrica di rovine” scrive
Igino Giordani nel libro “L’inutilità della guerra”, un pamphlet
graffiante e appassionato contro ogni guerra, nel quale il
Giordani rifiuta la distinzione tra guerre giuste e ingiuste, perché “le guerre abbruttiscono tutti gli uomini”), ma tutta la città di
Barletta ha mai chiesto perdono alla famiglia dell’ufficiale tedesco?
Perché non attivarsi (coinvolgendo anche le nostre Autorità civili e religiose, alle quali invio per conoscenza copia della lettera)
perché si ponga subito rimedio, magari proprio in occasione
delle manifestazioni in corso per il 70° anniversario dell’eccidio
dei nostri vigili urbani e netturbini? Una straordinaria occasione
potrebbe essere quella del prossimo Convegno di studi internazionale
fissato il 29 e 30 novembre nella Sala rossa del Castello.
L’ambasciatore tedesco in Italia Einhard Schafers, durante
la cerimonia commemorativa svoltasi recentemente nel Teatro
Curci ha detto: “Oggi mi inchino alle vittime di Barletta”. Parole
salutate da scroscianti applausi del numeroso pubblico presente.
E allora coraggio, facciamo tesoro della nostra storia e mostriamoci
capaci di riconoscere i “nostri errori”, soprattutto quando “uno di noi” ha vilmente assassinato un soldato ferito ed in
quell’attimo inerme ed incapace di difendersi.
Facciamo ora tutti la nostra parte. Mostriamoci ancor più meritevoli
delle medaglie d’Oro.
Chiediamo perdono alla famiglia dell’ufficiale tedesco con
un atto nobile, e, per i credenti, come segno di una vera e concreta
carità cristiana, che non ci giustifica ma che almeno ci aiuta a
ricucire tutti i rapporti e a rendere giustizia a 360°.
Io pure, riscrivendo la storia di quella tragica giornata, nella
Storia di Barletta, nella turbata consapevolezza della gravità di
quell’episodio, ho cercato di affidare alla obiettività narrativa la
nostra parte di responsabilità, facendo risaltare dalla oggettività della ricostruzione di quegli avvenimenti, la necessità di una
riflessione, come l’ammissione di una colpa latente… Ma non ho
avuto il coraggio di spingermi fino a tanto, fino a ipotizzare una
nostra colpa, e quindi la richiesta di un perdono. Ma il solo fatto
che oggi se ne parli, che si abbia la presa di coscienza di quella
barbarie (perché tale fu), è l’inizio di un ravvedimento. C’è solo
da chiedersi se siamo maturi per un simile gesto riparatore…
Angelo Torre (dicembre 2013)
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