FUORI DALLA “MEMORIA”,
ENTRA NELLA LEGGENDA
Se
non era Will Wagner, chi era allora? e se non fu fucilato sul muretto
del fossato del castello di Barletta,
che fine fece? Resta nell’ombra di una leggenda non svelata
l’identità e le sorti del giovane biondo soldato tedesco
che nel settembre del ‘43 salvò dalla fucilazione
50 ostaggi tranesi
Nell’ultimo numero del Fieramosca è stato pubblicato
un articolo dal titolo "Anche un tedesco nella memoria". In
verità l’articolo
si riferiva all’episodio del mancato eccidio di cinquanta
ostaggi rastrellati a Trani il 18 settembre del 1943. Al massacro
gli ostaggi
sarebbero scampati per la decisione di un ufficiale tedesco,
lo Jelo Webl Will Wagner, in seguito all’intervento dell’arcivescovo
di Trani, mons. Francesco Petronelli. Il nostro servizio esordiva
riportando il testo di due articoli della “Gazzetta del
Mezzogiorno”,
uno del 19 settembre 1956 firmato da Domenico Pàstina
intitolato A Trani quel 18 settembre 1943, e l’altro
del 17 settembre 1977 firmato da Mario Schiralli intitolato
Storia di un eccidio mancato
a Trani il 18 settembre 1943.
Entrambi gli articoli concludevano con un apprezzamento verso
il nobile animo dell’anonimo tedesco, del quale si sparse la voce
- racconta il vigile urbano tranese Nicola Rizzi - che il giorno
dopo era stato fucilato per insubordinazione. E aggiungeva il Pàstina
ch’egli sarebbe stato giustiziato per una disobbedienza dettata
da gentilezza d’animo.
Per completezza d’informazione ricorderemo che il fratello
di Domenico, Nicola Pàstina, il 15 settembre del 1965 scrisse
una lettera al “Tranesiere” intitolata Lettera di Nicola
Pàstina al prof. Raffaello Piracci, riportata recentemente
nel volume L’8 settembre del 1943 in Puglia e Basilicata di
Vito Antonio Leuzzi e Giulio Esposito, per i tipi Edizioni del Sud,
Bari 2003, pp. 208-209.
Tanto premesso, l’11 settembre del 2003 il prof. Giuseppe Savasta
organizzò, nella locale sede della Società di Storia
Patria, un incontro nel corso del quale fu proiettato un suo documentario
- sintesi di spezzoni di film d’epoca di varia provenienza
- su quelle drammatiche giornate del settembre di sessant’anni
fa a Barletta. Uno degli episodi più drammatici raccontati,
quello appunto del tedesco giustiziato per aver impedito l’eccidio
di Trani, era ricordato nella videocassetta, dov’era anzi anche
fotograficamente segnato il punto dove, davanti al castello, sarebbe
avvenuta la fucilazione, cioè davanti al muro, sulla destra
della garitta.
Colpito dall’episodio, chiesi telefonicamente al prof. Savasta
di farmi rivedere la videocassetta, oppure di farmi conoscere la
testimonianza che sosteneva il suo racconto, per l’approfondimento
della conoscenza dell’episodio, cortesia che invero il professore
prontamente assecondò portandomi copia dell’articolo
della Gazzetta del 17 settembre del 1977.
L’articolo è quello da noi riportato nell’ultimo
numero, Storia di un eccidio mancato. Ma la notizia più interessante,
sottolineava il Savasta, non era nell’articolo, che chiunque
poteva procurarsi, ma nella sua nota riportata sul margine superiore
dell’articolo stesso, in cui era svelato il nome del graduato
fucilato. L’appunto era così concepito: Lo Jelo Webl
Will Wagner è stato ucciso dinanzi al Castello di Barletta
ed ivi sepolto [notizia conforme al fotogramma della videocassetta].
Si dice che fu accusato dai suoi di non aver eseguito l’eccidio
per aver ricevuto in dono l’anello dal vescovo di Trani che
volle regalarglielo perché, come cattolico, ricordasse il
nobile gesto. Notizie raccolte dall’Archeoclub di Barletta
[di cui Savasta era all’epoca presidente] presso i signori
Patella Emanuele, oggi barbiere in via S. Giorgio, e Carone Antonio
che gestiva la tramvia presso il Castello.
Quando il Savasta ci portò l’articolo consentendoci
di fotocopiarlo per la sua ristampa, non ci mise in guardia da questo
appunto autografo, anzi, lo sottolineò, evidenziando come
fosse proprio questa notizia la fonte che l’aveva spinto a
riportare l’episodio nella sua videocassetta, con tanto di
riproduzione fotografica del luogo dell’esecuzione.
Il cronista, al quale consegnammo il materiale documentario,
ne cavò il
pezzo interpretando la perentorietà di quella nota (lo Jelo
Webl Will Wagner è stato ucciso e sepolto davanti al Castello)
come testimonianza diretta dei due soggetti citati. Né è pensabile
che la citazione fosse importante per l’episodio minore dell’anello,
ininfluente e secondario ai fini del nostro racconto, oltretutto
riportato con l’uso di un verbo dubitativo (si dice…),
al contrario della categoricità della citazione sulla identità del
soldato e delle modalità della sua morte.
Ora, ci scrive il prof. Savasta lamentando la falsa e assurda
notizia a me attribuita, puntualizzando che i testimoni asserirono
soltanto
che la notizia di quel fatto si diffuse lo stesso giorno in
cui il tedesco veniva sepolto all’ingresso del castello di Barletta,
e precisando di essersi limitato a trasmettere un articolo firmato
Mario Schiralli del 1956. A parte il fatto che l’articolo è del
1977, la cosa più importante è l’annotazione
autografa del Savasta a margine del pezzo circa l’identità del
soldato e le circostanze della sua morte (cioè ucciso e inumato
nei pressi del Castello).
Dunque, asserirono i testimoni soltanto che… etc. Ma qui bisogna
preliminarmente intendersi sul significato di “testimonianza”.
Precisano i dizionari: dichiarazione fatta da un testimone oculare
su cose da lui viste direttamente; e alla voce testimoniare: attestare
come testimone, per propria diretta conoscenza.
Ebbene, quando il prof. Savasta, nella lettera che ci ha inviato,
puntualizza che i testimoni asserirono soltanto che la notizia
di quel fatto si diffuse lo stesso giorno in cui il tedesco
veniva sepolto
all’ingresso del castello di Barletta, persevera in una evidente
contraddizione: cioè o quei signori erano testimoni di fatti,
oppure erano soltanto due comuni cittadini fra le migliaia fra i
quali quel giorno e il giorno dopo si era diffusa quella generica
voce. E perché allora Savasta attribuisce al loro racconto
un valore testimoniale speciale rispetto a quello di tanti altri?
Scopriamo soltanto oggi che gli pseudo testimoni avevano raccolto
notizie vaghe e, per quel che abbiamo appurato in questi giorni,
anche infondate, persino per quanto riguarda la identità del
soldato ucciso! Infatti mons. Damato, a quel tempo cappellano militare,
quando fa l’elenco dei soldati tedeschi uccisi, ricorda un
certo Will Wagner ferito in combattimento presso il Crocifisso il
giorno 11 settembre e morto presso l’Ospedale militare, impiantato
nell’edificio scolastico “Musti”, il 14 dello stesso
mese e sepolto nel locale Cimitero. Ricorda testualmente mons. Damato,
a pag. 354: Ielo Webl Will Wagner: g.f. matric. 05811, ferito l’11
settembre 43 su la via provinciale Andria Barletta, deceduto il 14
a Barletta durante l’occupazione tedesca e sepolto a destra
avanti all’entrata del nostro Castello Svevo con croce ed elmetto.
Il 27 detto mese esumato e sepolto nel nostro Cimitero. Di qui sarebbe
poi stato esumato e trasferito nel Cimitero militare di Montecassino,
accanto ai suoi commilitoni morti nel corso della seconda Guerra
Mondiale.
Ma allora, se questo giovane soldato, come asserisce il Damato,
era morto il 14 settembre, come poteva essere l’eroe di un episodio
che si sarebbe verificato quattro giorni dopo? Dunque doveva trattarsi
di un altro graduato!
Ed ecco forse spiegato il mistero. Per un verso un soldato
tedesco di nome Will Wagner, distintosi in un’azione di guerra, ferito
e poi deceduto, viene sepolto con onore davanti al fossato del castello.
Per altro verso, nelle stesse giornate si verificano i fatti di Trani
e si sparge la voce della fucilazione di un giovane ufficiale, che
si sarebbe rifiutato di eseguire la rappresaglia. E così,
nella tumultuosità di quelle giornate, non ci sarebbe voluto
molto che prima pochi, e poi molti, confondessero e sovrapponessero
i due episodi e quindi anche l’identità dei due giovani.
Così come a noi pare abbiano fatto i due pseudo testimoni
del Savasta tanti anni fa, inducendolo in errore. E noi, oggi, con
lui.
Nel merito poi dell’episodio della rappresaglia, interessante
ne è la ricostruzione dell’episodio fatta da mons. Giuseppe
Casale, tranese, già arcivescovo di Foggia, che ce l’ha
tramandata nel volume Accadde nel ‘43, antologia curata da
Raffaello Piracci.
Dello stesso Piracci, infine, nel periodico “Il Tranesiere” è contenuta
una cronaca pubblicata il 15 settembre 1963, e ristampata nel 1983,
intitolata Relazione sui fatti avvenuti a Trani nel settembre 1943.
Per la cronaca, il pezzo è riportato dal canonico Damato in
appendice al suo noto libro su L’occupazione tedesca a Barletta
(pagg. 411-416), dato alle stampe nel settembre del 1973, esattamente
a trent’anni dai drammatici fatti fin qui raccontati.
In conseguenza della imboscata tesa il 16 settembre da soldati
canadesi e nostri soldati del Genio, appiattati dietro il muretto
di cinta
nei pressi del cimitero di Trani, ci furono cinque morti e
dieci feriti [appartenevano alla divisione “Goering”], e il
18 settembre per rappresaglia i tedeschi rastrellarono cinquanta
ostaggi civili, che furono ammassati in piazza Vittorio Emanuele
presso il monumento a Giovanni Bovio per essere fucilati.
A tale efferata, inumana rappresaglia, S.E. mons. Arcivescovo
Petronelli, sollecitato dai familiari degli ostaggi, con animo
risoluto e conscio
della sua delicata e dolorosa missione di Pastore, con il suo
vicario mons. Raffaele Perrone, il quale era a letto infermo,
si presentarono
il giorno 18 in piazza Vittorio Emanuele, sul luogo della fucilazione,
dal comandante, un tenente austriaco, intercedendo per gli
ostaggi, suoi diocesani. Vista vana la sua intercessione, con
animo ancor
più risoluto dopo aver benedetto con la sua croce gli ostaggi,
offrì se stesso e la sua stessa vita, ponendosi dinanzi al
plotone d’esecuzione, mentre al tempo stesso si univano a lui
il cav. Antonio Bassi, segretario del Fascio, e il podestà,
Giuseppe Pappolla, anch’essi perorando che i civili non avevano
colpa alcuna dell’uccisione e ferimento dei soldati tedeschi.
Per l’eroica, umanitaria, cristiana, pastorale ed episcopale
offerta di S.E. Mons. Arcivescovo Petronelli, il comandante tenente
austriaco crollò dalla sua durezza e concesse la libertà ai
cinquanta ostaggi rimandandoli alle loro famiglie; però il
suo umano gesto gli costò la vita per la condanna a morte
ordinata dal suo Comando Superiore.
Del nome dell’ufficiale, nessun cenno, né tanto meno
di quel che gli accadde per aver contravvenuto all’ordine della
rappresaglia. Il che fa tornare l’episodio al punto in cui
conoscevamo i fatti prima della pubblicazione di questi due articoli,
lasciando nella penombra di una leggenda non svelata le sorti del
giovane e biondo soldato tedesco.
Renato Russo (marzo 2004)