UN TRENO… PER NON PERDERE LA MEMORIA E RECUPERARE
L’IDENTITÀ
a Puglia, la Regione Puglia… si è messa in viaggio.
Non solo in forma simbolica, ma anche in forma più praticamente
operativa, chiamando a riflettere sulla propria identità tutti
i suoi abitanti, dai più piccoli ai più grandi. E lo
ha fatto attivando il Progetto “MAI PIÙ”. Storici
di chiara fama, affiancati dagli ultimi superstiti sopravvissuti
alle sevizie dei campi di concentramento e di messa a morte del Terzo
Reich, hanno incontrato docenti, studenti e gente comune delle nostre
città per informare e far conoscere quel mostro che stava
per governare il mondo. Felicissima si è rivelata l’idea
di attrezzare un treno merci con documenti sonori, visivi, fotografici
e scritti che, immediatamente, è diventato il TRENO DELLA
MEMORIA.
La previsione di quindicimila prenotazioni di alunni e studenti delle
nostre scuole, ampiamente superata, non è, semplicemente,
motivo di orgoglio per tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione
del progetto. È, piuttosto, la corale risposta ad un’opportunità educativa
che, per ragioni di tempo, di spazio e di investimenti economici,
non può rientrare nei Piani delle Offerte Formative delle
singole scuole. È anche, a dire il vero, a sei anni dall’istituzione
del “GIORNO DELLA MEMORIA” in ricordo dello sterminio
e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari
e politici italiani nei campi nazisti (legge 2 luglio 2000, n. 211),
la prima volta che, nella nostra Regione, si vive un importante momento
per ricordare la Shoah.
Sia bene inteso. Il valore più autentico di questo progetto
sta nel fatto che, quella legge del 2000, nello spirito e nelle forme
volute dal nostro Parlamento, esce dai confini della scuola nei quali
sembrava rischiare di anchilosarsi in forme commemorative vuote e
insignificanti E, pertanto, non solo gli studenti, ma anche tutti
gli altri visitatori che salgono su quegli undici vagoni del Treno
della Memoria sono invitati a imparare “che occorre vedere
e non guardare in aria: occorre agire e non parlare.”
La mostra che racconta la tragedia vissuta dai popoli d’Europa
dal 1933 al 1945 ed ammonisce gli uomini a riconoscere per tempo
i pericoli che minacciano la “famiglia umana”, si snoda
in un susseguirsi di parole - guida accompagnate da ricca documentazione
fotografica, da testimonianze di sopravvissuti e di scrittori, da
documenti originali o in copia, in una successione cronologica pienamente
esaustiva. E, così, dalla sintesi dell’iniziale didascalia
sull’Ideologia nazista, si passa ad una sufficiente informazione
sulle leggi razziali di Norimberga del 1935, a quelle italiane del
1938, al pretesto della Notte dei cristalli, propagandato come Progrom
per giustificare la persecuzione degli Ebrei, all’istituzione
del ghetto anche con riferimento a quello famosissimo di Varsavia,
per introdurre il visitatore ad una concreta riflessione sulla soluzione
finale attraverso significative immagini della deportazione, della
selezione e dello sprofondamento nella fabbrica della morte del Konzentrationlager
Auschwitz. Informazioni sul lavoro, sulle condizioni di fame, sulle
torture consumate nel Bloch della morte, sugli esperimenti medici
finalizzati alla sterilizzazione delle donne, sulle disumane condizioni
abitative delle baracche, accompagnano il visitatore sino a quelle
immagini sulla fine degli orrori di quel 27 gennaio 1945, quando
l’Armata Rossa entrò nel campo di Auschwitz.
Finalmente una panca… Cinque attori pugliesi in una videoinstallazione,
recitano brani tratti da “Se questo è un uomo” di
Primo Levi. La sosta innanzi a quei cinque monitor sincronizzati
in questo vagone oscuro stimola riflessioni di forte valenza emotiva
e dispone a recepire altre nuove informazioni: oltre 120 pugliesi
finirono nei campi di Mathausen, Dachau, Gusen, Buchennwald, Flossenburg,
Ebensee, Auschwitz. Antonio Vincenzo Gigante, nativo di Brindisi,
noto sindacalista, finì cremato nella Risiera di san Sabba
di Trieste, l’unico campo italiano, gestito dai nazisti e dalla
polizia della Repubblica Sociale di Salò, dotato di forno
crematorio. Si apprende anche che il Fascismo costruì campi
di concentramento a Bolzano, a Fossoli (Carpi), utilizzò il
mattatoio di Manfredonia come campo di concentramento per i destinati
al confino delle Isole Tremiti, allestì i campi di Gioia del
Colle, di Alberobello, di Pisticci, giusto per restare nei limiti
di un territorio nazionale di nostra conoscenza.
LE STRAGI NAZISTE IN PUGLIA, attuate con ferocia in quasi tutte le
città della regione dopo l’8 settembre 1943, a partire
da Santa Maria di Leuca sino al Gargano, introducono alla ricca documentazione
su Barletta che, per essere città di Deposito Misto Regio
Esercito Egeo, era stata scelta dai tedeschi come possibile caposaldo
della linea adriatica contro l’avanzata degli alleati. Le foto,
recuperate dal Bundesarchiv di Coblenza ed esposte in maniera permanente
nell’Archivio della Resistenza e della Memoria nel Castello
di Barletta, documentano la feroce aggressione nazista alla popolazione
inerme della città, la gratuità della violenza barbarica
culminata nell’eccidio dei vigili urbani e dei netturbini del
12 settembre 1943, l’arroganza dell’occupazione della
città dal 12 al 24 dello stesso mese e rendono onore a quei
militari del Presidio della città che, dopo due giorni di
tenace resistenza al nemico, furono sconfitti, catturati e deportati
in Polonia o in Germania. Il bilancio dei morti in quei giorni, 34
civili e 37 militari, non è definitivo. La soldataglia tedesca,
dopo il 24 Settembre, continuò ad uccidere nelle nostre terre:
22 furono i giovani militari inermi massacrati a Murgetta Rossi,
nella campagne di Spinazzola e altri undici a Vallecanella, nei pressi
di Cerignola.
Prima di uscire si ha ancora il tempo di riflettere sulla fraterna
accoglienza del popolo pugliese nei confronti degli ebrei, come si
legge nella documentazione dei campi di Santa Maria al Bagno, Santa
Maria di Leuca, Santa Cesarea Terme, di Trani e di Barletta.
Cosa resta nel cuore, nella testa, nei discorsi, nei propositi, negli
impegni, nelle osservazioni a vivo ed immediate, di quanti scendono
dal treno attraversando il carro di una proposta artistica intermediale
e si avviano a riprendere il cammino della propria quotidianità?
Certo, il treno è e resta un luogo fittizio di Memoria. Ha,
però, una forte valenza educativa che gli deriva dalla sua
dimensione di simbolo. Anzi, dalla sua capacità, per così dire,
di fissare conoscenze attraverso finzioni.
È
, però, che in quel contenitore, in quello stesso tipo di
carro merci, in quelle stesse dimensioni di spazio, in quegli stessi
angoli semibui, sono saliti, hanno sostato, hanno viaggiato, hanno
dormito, pianto, urlato, gridato, sognato, bestemmiato, pregato… altri
uomini, donne, bambini, giovani, vecchi, malati, sani, robusti, affaticati… un’altra
umanità… Uomini e donne, sino a qualche tempo prima,
liberi… Su di loro, alle loro spalle, in cinquecento, in seicento,
in più, molto, molto di più, stipati, affollati, nello
stesso spazio dove, ora, ci sei tu in un gruppo di venti/venticinque
al massimo, si chiudevano, si sigillavano pesanti sportelloni con
stridenti rumori assordanti.
La visita è finita. Mezz’ora, tre quarti d’ora.
Al più, un’ora. La stazione? Oh Dio! Per fortuna, si
scende nella stessa stazione nella quale si è saliti sul treno
dopo ore di lunga fila… Lecce, Brindisi, Taranto, Bari, Barletta,
Foggia… Sei libero… Non sei un deportato. Sei libero,
libero di credere ed operare nella solidarietà, nella pace,
nell’uguaglianza, nella libertà, nella giustizia.
Di Luigi Dicuonzo* (febbraio 2006)
* Responsabile dell’Archivio della Resistenza
e della Memoria di BarlettaBox
Dal 9 gennaio all’8 febbraio 2006, il Treno della Memoria, ha attuato soste
nelle stazioni di Lecce, Brindisi, Taranto, Bari, Barletta e Foggia, con una
media di oltre mille visitatori al giorno. Molti, pur sopportando i disagi di
una lunga fila in attesa, non hanno potuto visitare la Mostra. Condivisibile
il loro risentimento, la loro rabbia, il loro rammarico e, accettabili, finanche,
i loro giudizi stroncanti sull’organizzazione. Forse, l’esclusione,
ha colpito le persone più interessate a vivere le tematiche proposte e,
per converso, tra gli ammessi alla visita, forse, ci sono stati, molti, spinti
da semplice e pura curiosità. Nella certezza di sapere che, i primi, credono
ed operano per l’affermazione di valori quali la solidarietà, la
pace, l’uguaglianza, la libertà e la giustizia, si auspica che,
i secondi, se effettivamente esistono, abbiano avuto, ugualmente, validi stimoli
per conoscere quegli stessi valori e si impegnino a difenderli operativamente.
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