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          L’eliminazione delle province
 Un’iniziativa superficiale e demagogica per dare soddisfazione alla piazza
 Il riordino delle Province, suggerito dall’obiettivo di ridurle
          per contenere la spesa pubblica, sta determinando non pochi
          malumori tra i destinatari dei tagli. Le proteste non sono affatto prive
          di fondamento ed il Governo Monti - dal quale non ci saremmo mai
          aspettata un’iniziativa “politica” di rilevanza costituzionale affrontata
          con superficialità, bene farebbe a prenderle in considerazione.V’è la sensazione che la mossa governativa sia stata dettata più da
          ragioni di immagine che di sostanza; s’è voluto dare soddisfazione
          alla piazza, a chi manifesta ogni giorno il proprio disappunto per i
          costi della politica, per gli sprechi, pur sapendo che la soppressione
          totale o parziale delle province non è la panacea di tutti i mali.
 Con questa considerazione non voglio di certo ingrossare le
          fila del partito del “benaltrismo”, di coloro che, pur di difendere il
          proprio orticello, vedono i mali del Paese altrove, ma intendo analizzare
          con metodo scientifico, l’utilità dell’esistenza di un ente
          intermedio qual è la Provincia e le conseguenze della sua soppressione
          o del ridimensionamento nel numero su scala nazionale.
 Le materie vecchie e nuove assegnate alle Province richiedono
          omogeneizzazione del territorio di competenza per evitare di formulare
          programmazioni inadeguate alle esigenze di area; in concreto,
          se i Comuni della BAT fossero inclusi nella provincia di Foggia,
          avrebbero in ogni caso la necessità di vedersi riconosciuta una peculiare
          programmazione degli interventi, che sono diversi da quelli
          oggi considerati per il Subappennino Dauno, per il Gargano, per il
          Tavoliere, per le Isole Tremiti, per esigenze, legate ad una economia
          dove prevalgono i settori tessile abbigliamento e calzaturiero ed il
          lapideo. Senza considerare che i comuni della BAT, ove inglobati
          nella provincia di Foggia, determinerebbero la nascita di un territorio
          più vasto di regioni come il Molise, l’Umbria, Valle d’Aosta e
          non lontano, per dimensioni, da Basilicata ed Abruzzo!
 Ampliando il campo dell’analisi, su scala nazionale, la soppressione
          di numerose province comprese in territori montani ed
          in particolare lungo la dorsale appenninica e nelle Alpi, avrà conseguenze
          disastrose. Lo spostamento del baricentro territoriale verso
          le città rivierasche, determinerà inevitabilmente un progressivo
          processo di deantropizzazione del territorio ed una nuova forma di
          urbanizzazione, con la conseguenza che le province dell’Appennino,
          oltre a perdere identità giuridica, subiranno l’affossamento
          dell’area montana, che necessita della mano dell’uomo, per evitare
          i frequenti fenomeni di dissesto idrogeologico, che si registrano
 quando un territorio non è più presidiato.
 In questo clima è auspicabile che la Corte Costituzionale, chiamata
          ad esprimersi il 6 novembre, ponderi la ratio che sovraintende
          all’organizzazione dell’apparato statale su quattro livelli istituzionali
          (Comuni, Province, Regioni, Stato), senza condizionamenti
          di ordine politico, limitandosi a verificare la costituzionalità delle
          norme impugnate, considerando che, per effetto dell’art. 133 della
          Costituzione, i Comuni in questo tipo di scelte detengono una
          prerogativa ineludibile.
 In realtà, il riordino delle Province, il loro ridimensionamento
          nel numero e nelle funzioni, più che una necessità appare il pretesto
          per procedere successivamente alla riduzione del numero delle
          Prefetture, delle Questure e degli uffici statali periferici, risultato
          che si sarebbe raggiunto autonomamente, trasferendo ad esempio al
          Presidente della Provincia, per determinate funzioni, la competenza
          di organi amministrativi periferici dello Stato, riconoscendo al medesimo la qualità di Ufficiale di Governo, al pari dei Sindaci in materia
          anagrafica. Ad ogni modo la querelle politico-amministrativa
          sul dimensionamento delle province, può essere superata, adottando
          criteri e requisiti rispondenti a maggiore logicità, rispetto a quelli
          stabiliti dal Governo dei tecnici, senza peraltro perdere di vista che
          il fine rimane la ricerca della dimensione organizzativa ottimale dei
          servizi.
 Per compensare la carenza della superficie geografica rispetto
          ad una sufficiente densità demografica e viceversa, è sufficiente correlare
          l’istituzione della provincia od il mantenimento della stessa
          al raggiungimento di un punteggio predeterminato. Si supponga di
          dover assegnare un punto ogni 10.000 abitanti ed un punto ogni 100
          kmq, con arrotondamento dei resti per eccesso, con un punteggio
          minimo necessario di 50 punti per provincia. Così facendo, si salverebbero
          le province montane, soggette a rischio spopolamento,
          perché il sottodimensionamento demografico, sarebbe compensato
          dalla vastità del territorio amministrato. Con l’attuale criterio di
          contro, nell’arco di un decennio assisteremmo all’emigrazione di
          migliaia di famiglie dai centri montani verso i grandi agglomerati
          urbani rivieraschi, ove si concentrerebbero lavoro e servizi (scuole,
          università, uffici pubblici, ospedali, case di riposo, etc.) ma anche
          caos, inquinamento, oltreché gli effetti deleteri del dissesto idrogeologico,
          oramai privo di adeguati presidi a monte.
 Quanto ai costi delle province, studi approfonditi son giunti
          alla conclusione che, anche dimezzandone il numero, il risparmio
          per le casse dello Stato non sarebbe di entità tale da ridurre
          sensibilmente il debito pubblico. L’operazione in atto, finalizzata
          ad una seria spending review, rimarrebbe sterile ed incompiuta
          se non fosse accompagnata anche da un riordino delle regioni;
          sono maturi i tempi per rivisitare il Titolo V della Costituzione,
          restituendo al livello statale sovranità rispetto agli altri livelli territoriali,
          senza incorrere nella restaurazione del centralismo che in
          Italia in passato ha già fallito.
 È chiaro a tutti che la voragine nei conti pubblici non è provocata
          di certo dalle Province e dai Comuni; il debito pubblico è passato
          dal 60% del Pil ante 1980 (anno di entrata a regime delle regioni)
          al 120% del 2012! Gran parte dello stesso è attribuibile proprio alle
          regioni che abusando, hanno contribuito all’odierna insostenibile
          pressione fiscale, senza offrire all’utenza servizi adeguati.
 Intanto, per la VI provincia pugliese, allo stato attuale, non
          vedo altra soluzione che ampliarne il territorio di competenza con
          l’adesione di altri comuni, che uniti ai nostri, facciano nascere un
          nuovo Ente capace di inglobare l’area murgiana del mobile imbottito
          (Altamura e Gravina di Puglia) e quelle industriali ancor più          omogenee di Molfetta e Corato, scongiurando il rischio di essere
          annessi alla provincia di Foggia o peggio ancora essere inglobati
          nella città metropolitana di Bari, epiloghi a sicuro nocumento delle
          nostre identità comunali e delle irrinunciabili sinergie di area
          vasta.
 Pompeo Camero(novembre 2012)
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