Sull’abolizione delle Province
le dichiarazioni del Presidente della Provincia Francesco Ventola
e dell’assessore provinciale al bilancio Dario Damiani
«Si vuol far
passare per
taglio alla spesa pubblica
un’operazione che porterà a tutto meno che ad
un risparmio. Questoè un pasticcio che avrà una
sola conseguenza: creare
ulteriore confusioni agli
occhi dei cittadini».
Non usa giri di parole
il Presidente della
Provincia di Barletta
Andria Trani, Francesco
Ventola, nel commentare
l’approvazione del Ddl Del Rio sul riordino delle
Province, che oggi ha ottenuto l’ok anche dalla Camera
dei Deputati.
«Nei suoi tweet Renzi dimentica di dire una cosa
fondamentale: con questo Ddl le Province non solo non
vengono abolite ma potranno addirittura esercitare nuove
funzioni - afferma il Presidente Ventola -. L’unica
cosa che cambia realmente, con questo riordino, è il venir
meno della democrazia: non ci saranno più elezioni,
ed i cittadini non potranno scegliere chi li dovrà amministrare.
Le Province, infatti, rimarranno in vita, ma i
Consiglieri provinciali saranno eletti dai Consiglieri comunali,
mentre il Presidente sarà individuato dai Sindaci
del territorio. Dunque, dal momento che le Province
continueranno ad avere un proprio bilancio autonomo, a
gestire i soldi pubblici non saranno più amministratori
eletti democraticamente dai cittadini. Ed i cittadini non
potranno più premiare, col loro voto, gli amministratori
che riterranno capaci o mandare a casa chi avrà fallito».
Anche sull’ipotetico risparmio legato al riordino
delle Province, il Presidente Ventola nutre parecchie
perplessità. «Come si fa a parlare di risparmio se, con
questo riordino, si istituiscono 15 Città Metropolitane
(record europeo), che avranno dei propri Consiglieri e
non sappiamo di cosa si occuperanno? Dove sarebbe il
risparmio se con questo disegno di legge si incentiva la
nascita di Unioni dei Comuni, anche in questo caso con
i relativi Consiglieri? Quando Renzi, twittando, parla
di tagli di 3mila indennità, ignora che i Consiglieri
provinciali non percepiscono alcuna indennità, se non
un gettone di presenza di circa 30 euro, che non è cumulativo
con altri incarichi».
Conclusione: «Per quanto mi riguarda, tagliare significa
ben altro. Se davvero il Governo avesse voluto
abolire le Province, avrebbe dovuto più semplicemente
chiuderle attraverso un percorso costituzionale, trasferendo
competenze e personale a Comuni e Regioni. Invece,
si è voluto creare l’ennesimo pasticcio, che oltre
a non arrecare alcun risparmio causerà solo confusione
nei cittadini».
M eno democrazia, più burocrazia.
Uno slogan perfetto per il ddl Del
Rio sull’“abolizione” delle Province approvato
alla Camera dei Deputati, tra gli applausi
di chi o non ha ben compreso la reale
portata della riforma o non ha il coraggio
di affrontare la verità. Comprendo che sia
facile pensare che la mia sia una difesa “interessata”,
in quanto direttamente coinvolto,
come amministratore e come cittadino
di una delle 52 province destinatarie della
riforma; tuttavia, mi sia concesso il beneficio
della buona fede, alla luce della quale
proverò a tracciare un quadro attraverso una
disamina, soprattutto finanziaria, della situazione che la nuova disciplina delle
Province introduce, per argomentare le ragioni del mio dissenso. Partiamo dal
taglio dei costi della politica, argomento di facile presa sulla pancia del Paese,
considerati i tempi di drammatica crisi economica: le Province, così come organizzate
fino a questo momento, incidevano complessivamente sul bilancio
statale per una spesa pari all’1,5%. Importo minimo dunque, a fronte del quale
tuttavia erogavano direttamente servizi fondamentali al cittadino, quali la manutenzione
di strade, scuole, la formazione professionale. Di questa cifra poi,
in media il 98% della spesa corrente consta di voci quali il personale, le sedi,
la locazione degli edifici scolastici, i mutui contratti, mentre i cosiddetti costi
della politica (indennità per il Presidente, la Giunta e il Consiglio) incidono in
media appena per il restante 2%: in cifre, nel caso specifico della nostra provincia
di Barletta Andria Trani, su 31 milioni annui di spesa corrente (dato tratto
dal Bilancio consuntivo 2013), il costo della rappresentanza politica è stato di
658.850 euro, cioè in percentuale pari a poco più del 2%. In dettaglio, ecco i
costi: Giunta (compreso il Presidente) 349.600 euro, Presidenza del Consiglio
Provinciale 39.000, Consiglio Provinciale 187.250; a ciò si aggiungano 83.000
euro per oneri derivanti dai rapporti di lavoro. Bene, cosa cambia con la tanto
attesa e applaudita “abolizione” delle Province? Poco o molto, a seconda dei
punti di vista: poco in termini di burocrazia, molto in termini di democrazia. Da
oggi, infatti, gli organi amministrativi non saranno più liberamente eletti dai
cittadini ma continueranno ad esistere in veste di organi di secondo livello, derivati
dagli enti comunali: il Presidente della Provincia sarà il sindaco del Comune
capoluogo; la Giunta sarà formata da tutti i sindaci del territorio, mentre
il Consiglio avrà un numero di membri compreso tra 10 e 16 (per la BAT 12)
scelti tra tutti i consiglieri comunali e i consiglieri provinciali uscenti. Tutti gli
incarichi saranno svolti a titolo gratuito. L’apparato burocratico-amministrativo
resta dunque intatto, anzi direi che si complica a causa della nuova modalità di
reclutamento dei componenti i vari organi: pensiamo infatti alle Province con
decine di comuni e all’ingovernabilità che ne deriverà. Quale reale risparmio
comporterà questa riforma per le tasche dei cittadini? Pari a niente. Restano in
vigore tutte le tasse come la RC auto, la IPT, la Cosap, i mutui contratti dall’ente.
Ne valeva la pena? A livello propagandistico sicuramente. Una riforma che
definire demagogica e populista sarebbe un complimento, se si intendono tali
termini nell’accezione positiva di guidare i ceti più deboli verso un miglioramento
delle proprie condizioni. Al contrario, questa riforma avrà ricadute solo
negative sulla vita quotidiana dei cittadini, che vedranno delegati alla Regione
tanti servizi finora gestiti da un ente intermedio più vicino alle loro necessità. Il
Governo Renzi va avanti “come un rullo compressore”, secondo il premier: ha
ragione, travolge proprio tutto, democrazia e diritti compresi.
(aprile 2014)
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