LE
IMMAGINI: L’ALTRA FORMA DELLA BIBBIA … QUANTO
SON DIFETTIVI SILLOGISMI… COMPLETATA LA FACCIATA, IN DIRITTURA
D’ARRIVO IL RESTAURO DEL PURGATORIO
“I confratelli nel 1718, trovando l’antica Nunziatella
essere in luogo deserto e stramano, cercarono edificarne altra in luogo
più popolato
e centrale”. Così ci è tramandato da un atto giudiziario
del 1787: Nunziatella era l’altro nome col quale il popolo identificava
il Purgatorio vecchio, situata in prossimità del castello ed
officiata da una Confraternita di nobili e civili, detta appunto “delle
Anime del Purgatorio”. Raccontare di quella chiesa, con inevitabili
imprecisazioni per la esiguità delle fonti, non è qui
compito. Ci basterà solo sapere che di lì si partono
i confratelli a cercare e trovare un sito edificabile che soddisfi
la loro esigenza. E “con istrumento del 1° aprile 1721 per
notaro Gregorio Ungaro censuarono dal marchese di Campomarino, don
Francesco Marulli, il suolo d’una casa palazziata quasi diruta… Fu
stabilito un canone annuo di ducati 15, pagabile in ogni 15 agosto,
con l’obbligo della Congrega di mettere una lapide marmorea nella
chiesa, ricordante l’enfiteusi conchiuso, con le imprese delle
famiglie Marulli e Santacroce, come fu eseguito, situandosi la lapide
nell’avancorpo della chiesa, a man destra della porta maggiore” (F.S.Vista).
A.P.M. VIATOR QUOD TEMPLUM MAGNIFICUM ORNATUMQUE ET A FUNDAMENTIS ERECTUM
NUNC VISITUR ANIMABUS IN PURGATORIO DEGENTIBUS DICATUM EX CAMPIMARINI
MARCHIONIBUS PALATIUM OLIM FUIT IN EMPHITEUSIM CONCESSUM HAC LEGE UT
QUINDECIM QUOTANNIS SOLVANTUR AUREORUM SIBI FILIISUE AUT NEPOTIBUS
IN PERPETUUM ARCHICONFRATERNITAS TANTI BENEFACTORIS VOLUNTATI INDULGENS
G.A.M.P.
(A perpetuo ricordo. Passante, questo tempio magnificamente ornato
ed eretto dalle fondamenta che ora si ammira, dedicato alle Anime viventi
nel Purgatorio, un tempo fu palazzo dei Marchesi di Campomarino, concesso
in enfiteusi con questo impegno: che si pagasse ogni anno quindici
monete d’oro a loro e ai figli o ai nipoti in perpetuo. L’Arciconfraternita
indulgente verso la volontà di tanto grande benefattore).
Il passante di oggi vede e trova lo stesso caldo colore sulla superficie
della facciata rinnovata, così come la vide chi passò davanti
al Purgatorio nuovo nel 1727: è questa la data scolpita in calce
all’iscrizione di un cartiglio posto sull’arco maggiore
d’ingresso che recita così: MISEREMINI MEI MISEREMINI
MEI SALTEM VOS AMICI MEI A.D.1727 (Pietà di me, pietà di
me, almeno voi, miei amici. Anno del Signore 1727).
Sulle superfici lapidee esterne erano presenti zone dilavate che si
alternavano alle parti protette non soggette al dilavamento delle acque
meteoriche e caratterizzate da abbondanti depositi superficiali nerastri
e vere e proprie croste nere. Un vero danno, non solo estetico, perché tali
croste col loro particellato carbonioso procurato dall’inquinamento
trasformano in gesso la pietra degradata. La solfatazione progressiva
provoca così una lenta e continua perdita di materiale e di
superficie lavorata (Cosimo Cilli).
Ma il passante di oggi ritrova anche, con quel luminoso colore della
facciata, la lapide-ricordo del concluso contratto tra la Confraternita
e i Marchesi Marulli posta nel pronao del nostro tempio. F.S.Vista
infatti (IX fascicolo delle “Note storiche sulla Città di
Barletta”, Stab. Tip. G. Dellisanti, Barletta, 1909) racconta
dell’“inconsulta deliberazione” adottata dall’Intendente
(Prefetto) di rimuovere la lapide, a seguito della contesa sorta tra
gli amministratori dell’Arciconfraternita. Questi, eseguito l’affranco
del capitale, pensarono ad una lapide che, a mano manca della porta
maggiore, ricordasse l’estinto debito: il priore voleva apporvi
il suo solo nome, mentre gli altri amministratori pretendevano che
vi fossero scolpiti anche i loro. La vertenza si acutizzò al
punto che fu scomodato l’Intendente il quale, non venendo a capo
di nulla, diede ordine di rimuovere la prima lapide e non apporvene
una seconda. Il Vista, tutto contento, ricorda che il testo della lapide
era comunque salvo grazie al manoscritto del Seccia che nel 1850 si
era curato di trascrivere tutte le iscrizioni esistenti in Barletta,
e la riporta nelle sue “Note”. Nel 1978 io stesso, rettore
della nostra chiesa, nascosta sotto la scala di salita al campanile
ritrovai quella lapide il cui testo ho più sopra riportato,
testo che, confrontato con la trascrizione del Vista (ripresa dal Seccia?),
presenta un paio di differenze (nunc visitur e non viseris; emphiteusim
e non enphiteusim), oltre che essere in pietra e non in marmo come
ebbe a scrivere Vista. Con la prima lapide ne venne fuori una seconda
che neppure il Seccia poté riportare (per un pelo!) perché del
1851: riferisce dell’estinto debito coi nomi dei tre amministratori,
già pronta e forse anche collocata (sono presenti tracce di
calce) ma bloccata dalla lite fra i tre. Qualcuno pensò più saggiamente
di conservare le due lapidi in attesa di tempi più tranquilli.
La fattura della seconda lapide è modesta e presenta alcuni
errori alla meglio corretti dallo scalpellino.
D.O.M. IPSA PIA ARCHICONFRATERNITAS REGALI OBTENTO RESCRIPTO CENSUM
EX EMPHITEUSI IN PERPETUUM CAMPOMARINI MARCHIONUM SUCCESSORIBUS SOLVENDUM
SUB ADMINISTRATIONE D ANGELI CICCARELLI PRIORIS D IOHANNIS TATO’ ET
D CAROLI ROMANELLI AD SISTENTIUM EXTINGUERE OMNINO CURAVIT UTI PER
ACTU REGJ NOTARII D IOSEPHI IOANNIS CELLENTANO SUB DIE XX AUGUSTI A.D.
MDCCCLI
(A Dio massimamente grande e buono. La stessa pia Arciconfraternita
con ottenuto assenso regale il censo per enfiteusi da pagare in perpetuo
ai successori dei marchesi di Campomarino curò di estinguere
completamente sotto l’amministrazione del signor Angelo Ciccarelli
priore e i signori Giovanni Tatò e Carlo Romanelli assistenti,
come da atto del regio notaio signor Giuseppe Giovanni Cellentano il
giorno 20 agosto dell’anno del Signore 1851).
Eccoli dunque, e finalmente, accontentati nella loro porzione di gloria!
O insensata cura de’ mortali
quanto son difettivi sillogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali! (Dante, Pd XI 1-3)
Ma torniamo al restauro della facciata, lasciando che sia Cosimo Cilli
a spiegarcelo.
Questo intervento di pulitura e restauro della facciata è stato
il primo in assoluto dal tempo della fondazione della chiesa. Qualche
evento di collasso subìto in altra epoca fu risarcito con cunei
di legno duro spinti negli interstizi allargati fra i conci, chiusi
poi con cemento nero confuso nel nero diffuso delle superfici. Diverse
le metodologie nell’intervento. Un primo lavaggio generale è stato
eseguito con spazzole di saggina ed acqua corrente decalcificata per
ottenere un leggero rammollimento di croste e depositi. Nelle zone
protette dal dilavamento delle piogge le croste sono state eliminate
con impacchi leggermente basici (carbonato d’ammonio, sale etildiammintetracetico,
neodesogen sciolti in acqua) supportati da polpa di cellulosa con aggiunta
di colla da parati per facilitarne l’adesione al supporto. Spatola
e pressione delle mani per applicare gli impacchi, ricoperti da pellicola
di alluminio e lasciati agire per un tempo determinato e stabilito
con la direzione dei lavori. Croste nere di elevata tenacia hanno richiesto
che il procedimento fosse ripetuto più volte. Le stuccature
in cemento sono state rimosse con scalpello e martello (Cosimo Cilli).
La finestra centrale di questo registro di facciata ed i capitelli
che chiudono le paraste hanno un decoro ad alto rilievo di tutto rispetto.
Sembrano, nella ricchezza dei doni della natura, alludere alla ricchezza
della Grazia acquisita dal sangue di Cristo e riservata alle anime
purganti dopo il tempo della pena. Le anime sono tutte comprese nella
gran medaglia che lega l’arco di ingresso alla finestra: se non
fossero in pietra sarebbero già volate dentro per quella finestra!
(v. foto pagina precedente)
Proprio le parti decorate hanno richiesto l’uso di mezzi meccanici
di precisione (microsfere) per rimuovere le patine insolubili, parti
più delicate perché espresse in pietra più tenera
rispetto a quella usata per specchiature e lesene. Le parti mancanti
superiori ai 20 cmq. sono state integrate con pietra sagomata e fermata
con perni in acciaio inox e resina bicomponente. Stuccatura e stilatura
dei conci sono state eseguite con calce LaFarge, polvere di marmo e
sabbia di fiume con leggera carica di resina acrilica, opportunamente
miscelati per ridurre e modulare il bianco della calce. Infine è stato
applicato il protettivo idrorepellente in due cicli, dato a spruzzo,
con silossano (Cosimo Cilli).
Allora, entriamo in chiesa? Sì, ma la prossima volta.
don Gino Spadaro (Febbraio 2002)
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