A CURA DELLA SOCIETÀ DI
STORIA PATRIA DI BARLETTA
RICORDATO ELIO VITTORINI A QUARANT’ANNI DALLA
MORTE
Quarant’anni fa, nel febbraio
1966, ad appena 58 anni, moriva Elio Vittorini, una personalità di
spicco nel ricco panorama della storia della letteratura italiana.
Lo ha ricordato la Sezione barlettana della Società di Storia
Patria, nel corso di un incontro nella Sala delle Conferenze della
Comunità della Chiesa di S. Antonio. A ricordare l’illustre
scrittore, il presidente dell’Associazione dott. Pasquale
Pedico che ha introdotto la serata, il conduttore Costantino Foschini,
il
prof. Mario Sechi e il fratello dello scrittore, Aldo, per molti
anni titolare di una libreria in Piazza Caduti, la Libreria Europa,
il quale ha animato la serata con suoi personali ricordi.
Note
biografiche
Ma chi era e cosa ha rappresentato Elio Vittorini per la nostra
letteratura? Vediamo di tracciarne un breve profilo biografico.
Nato a Siracusa
il 23 luglio 1908, morì a Milano il 14 febbraio 1966. Trascorse
l’infanzia in piccoli centri della Sicilia, seguendo i trasferimenti
del padre ferroviere. Cominciò subito ad evadere dall’isola,
dove frequentò le elementari e tre anni delle tecniche; nel ‘27
si trasferì nella Venezia Giulia, divenendo assistente in
un cantiere di costruzioni stradali. Nel 1930 era a Firenze, dove
si legò al gruppo di Solaria. In quegli anni si guadagnava
da vivere prima come correttore di bozze presso La Nazione e poi
come traduttore dall’inglese. Ebbe noie con la censura fascista
per la pubblicazione a puntate del suo romanzo Il garofano rosso
e divenne amico di Vasco Pratolini, con cui progettò un espatrio
clandestino per raggiungere i repubblicani spagnoli.
Dopo aver scritto Conversazione in Sicilia, il suo capolavoro,
nel ‘39
si trasferisce a Milano, città in cui rimarrà fino
alla morte. Entra a far parte dell’organizzazione comunista
clandestina, e insieme con Giansiro Ferrata prepara alcuni numeri
dell’Unità; per questa attività è incarcerato
nel ‘43 fino all’armistizio; partecipa alla Resistenza
e scrive Uomini e no, il romanzo sui partigiani a Milano.
Dal settembre 1945 al dicembre 1947 dirige la rivista Il Politecnico,
prima settimanale, poi mensile e infine semestrale.
In seguito alle critiche del PCI e a una polemica con Togliatti
sul rapporto fra letteratura e politica, si stacca da questo
Partito.
Prosegue però il suo dialogo con le giovani generazioni;
e la sua attenzione ai nuovi fermenti culturali lo porta a fondare
la collana “I gettoni” (1951-’58). Nel ‘59
inizia a dirigere, insieme con Italo Calvino, la collana-rivista
Il Menabò, che diviene ben presto il luogo di discussione
dei più vivi problemi culturali del momento. Mentre lavora
alla sistemazione teorica della sua idea di letteratura, nel
pieno della sua maturazione intellettuale, si ammala e muore.
Lo
scrittore
La scrittura di Vittorini si attesta in uno spazio decisamente
contrario ai compiacimenti della prosa rondista, ma fin dall’inizio predilige
una ruvida, incalzante secchezza antiretorica. Le sue opere, sebbene
non siano state accolte sempre con lo stesso favore, si situano in
una dimensione fortemente simbolica, dove i confini dell’individuo
connotano situazioni universali; proprio come avviene ad esempio
in Conversazione in Sicilia, in cui la generale condizione umana è vista
e interpretata come miseria, offesa, dolore della umanità: “Non
ogni uomo è uomo. Uno perseguita e uno è perseguitato.
Uccidete un uomo; egli sarà più uomo. E così è più uomo
un malato, un affamato; è più genere umano il genere
umano dei morti di fame”. Questo romanzo, secondo Gianfranco
Contini, “è uno dei più rappresentativi testi
simbolici del secolo, sospeso fra realtà e sovrasenso”.
Per Geno Pampaloni, “allo storico futuro, Vittorini apparirà come
uno degli scrittori italiani nella cui opera, e proprio nel tentativo
di investirsene per superarli, meglio sono chiariti i limiti e il
significato dell’ermetismo”. Nelle Due tensioni, Vittorini
sostiene che “dalla prima metà dell’Ottocento
la letteratura manca di tensione razionale e si espande in senso
solo espressivo-affettivo”; auspica quindi nella letteratura
l’avvento di una nuova “tensione morale e culturale”.
Renato Russo (gennaio
2007)