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Quella maledetta voglia di vincere, Il romanzo del giovane Pietro Mennea
 
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Mennea day

Acquafredda, Gambatesa e Damato. Le testimonianze dei tre staffettisti della 4x100

La sua vera grandezza?
Non essere nato campione, ma esserlo diventato


Pietro Mennea

Da sinistra: Pinuccio Acquafredda, Mennea, Mimmo e Francesco Gambatesa, Savino Albanese


Caro direttore,
è grande il piacere che mi doni nel ricordare il mio amico Pietro.
Nel suo ricordo, rivivo da sessantenne in maniera vivida, i miei 14-17 anni, giovane atleta della gloriosa Avis-Barletta, noi atleti e nel contempo donatori volontari di sangue, con Pietro, con mio fratello Franco, Salvatore Pallamolla, Peppino Acquafredda e
tanti altri. Mi rivedo su una delle tante piste di atletica, nella nostra meravigliosa tuta rossa con la scritta AVIS-Barletta in bianco (il sangue che dà la vita, il bianco, la luce della speranza), con l’attenta guida del nostro allenatore prof. Ciccio Mascolo sulla tribuna ad
incitarci, con la presenza silenziosa ma solenne del nostro Presidente prof. Ruggero Lattanzio, con il tifo quasi carioca dei nostri accompagnatori storici, Cosimo Puttilli pluricampione nazionale della 50 Km di marcia e dell’autista del nostro pulmanino Antonio Musciagna, che ad ogni vittoria del nostro gruppo sportivo, al momento della premiazione, accendeva la sirena inserita nel nostro pulmanino. Che ricordi!
Pietro era un ragazzino timido, con un fisico non proprio da campione, che proveniva dal calcio. Ala destra, velocissima, ma molto scarsa nei contrasti. Gli venne consigliato di cambiare sport e passò alla velocità categoria ragazzi, 80 metri nell’estate del 1966 dopo la licenza media (avevamo entrambi 14 anni) con la tuta dell’AVIS ci incontrammo per i primi allenamenti al vecchio stadio “Lello Simeone” (a settembre lui si sarebbe iscritto a Ragioneria, io allo Scientifico). A scuola, lui avrebbe continuato ad allenarsi sotto la guida del prof. Autorino, entrambi ci saremmo ritrovati il pomeriggio sotto la guida del prof. Ciccio Mascolo. Prima gara, campionati studenteschi finali provinciali 80 metri. Vinse un certo Barbera lui arrivò secondo con 10 secondi netti, io 3° con 10”2. Per quanto mi ricordo, credo sia stata l’unica volta in Puglia che non abbia vinto. Si rifarà ampiamente l’anno dopo, vincendo col tempo di 9”2 precedendo Benito e Pallamolla.
Da allora, a soli 15 anni, galvanizzato da questo primo successo, cominciò ad allenarsi in maniera quasi ossessiva, senza tregua, con caparbietà, sfruttando anche le scale della scuola, rimpiangendo forse solo di non abitare al decimo piano! Diventò imbattibile sui 100 e 200 metri a livello provinciale e regionale, sino a vincere il titolo nazionale dei 100 metri a Pisa, ai Campionati studenteschi del 1969. A scuola, di mattina, era allenato da un grande maestro di sport e di vita il prof. Alberto Autorino, di pomeriggio dall’istruttore della velocità del G.S. Avis Barletta, prof. Franco Mascolo, docente presso il locale liceo Classico (curava anche una palestra lì nei pressi, angolo via Casardi e via Libertà, affidandola però perlopiù al fratello Ruggiero, tutto preso com’era dal grande attaccamento per i suoi “ragazzi”).
A quel tempo il presidente della Fidal, prima di Nebbiolo, era un pugliese, un molfettese, il grande Giosuè Poli (ancora oggi credo si celebri un meeting nel suo ricordo), il quale, dopo la vittoria ai Campionati studenteschi del ‘68, lo chiamò nel circuito nazionale, dove cominciò la meravigliosa ascesa che lo avrebbe La sua vera grandezza? Non essere nato campione, ma esserlo diventato di Mimmo Gambatesa portato sino al record del mondo.
La vera grandezza di Pietro, per me, è stata quella di non essere nato campione, ma di esserlo diventato, con la sua ferma coreacea determinazione ed ora lasciatemi a quest’ultimo ricordo: è un tardo pomeriggio di giugno 1967, io, Pietro e mio fratello Francesco con il nostro allenatore Mascolo ci troviamo in quella stradina in salita e curva che da Piazza Marina arriva a via Cialdini.
Non è asfaltata ed è molto polverosa. Io e mio fratello ci alterniamo a tirare Pietro nella salita, dove in cima c’è Mascolo che cronometra i nostri tempi. Io e mio fratello Franco ci alterniamo per cronometrare i suoi tempi e saggiare la sua tenuta, ma anche se ci alterniamo in due, non ce la facciamo a tenere la sua capacità di sforzo, il suo carico muscolare, perché, lui, il campione, non si ferma mai. Fa molto caldo, il ritmo è molto elevato, siamo sudatissimi, anche Mascolo lo è, ma Pietro è instancabile e riprende a correre, anche da solo, sotto i nostri occhi stupiti, chiedendoci dove vorrà arrivare…
Questo è Pietro che ricordo e non dimenticherò mai.

Mimmo Gambatesa (Ottobre 2013)

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