A trent’anni dalla morte del prof. Lattanzio (1987-2017)
I PRIMI ANNI A BARLETTA
DAL 1952 LA MAGNIFICA SVOLTA
Quando il professore il 17 luglio 1952 prese possesso,
come nuovo direttore sanitario, dell’Ospedale di Barletta
si trovò di fronte a una situazione avvilente. I malati ricoverati
erano 52 e l’ospedale era privo di mezzi, di attrezzature e di locali
idonei, tanto che restò inizialmente perplesso sulla possibilità che si potesse in qualche modo rimediare a quella situazione e
adeguarla a quelli che erano gli standard di un’ospedale moderno.
La prima cosa che fece fu quella di redigere una relazione
dettagliata sulle condizioni in cui versava l’ospedale, sulla consistenza
(ma meglio sarebbe dire, sulla “inconsistenza”) dei diversi
reparti e sui problemi da affrontare.
A quel tempo la struttura era carente di una direzione sanitaria,
mentre poteva contare su un primariato chirurgico (vacante, il
ruolo fu assunto dallo stesso professore), e su un primario medico
(residente a Foggia), un direttore del servizio di diagnostica radiologica,
un primario ostetrico incaricato e un direttore di laboratorio,
coadiuvati da qualche assistente. Insomma il nuovo direttore
sanitario si trovò di fronte ad un gran numero di problemi difficili
da affrontare e da risolvere.
Pensiamo alla mancanza degli apparecchi di anestesia, ma anche
delle attrezzature più elementari di cui è dotato un ospedale
discretamente attrezzato, come gli oscillometri, l’elettrocardiografo,
le apparecchiature per le fleboclisi, alcuni strumenti chirurgici
e così via.
Particolarmente grave, poi agli occhi del professore, era la
mancanza di una emoteca e in generale di una associazione, di
donatori di sangue. E inoltre era carente il servizio di guardia che
non veniva effettuato a turno continuo ma solo per chiamata!
I locali erano male utilizzati, inadeguati e in pessime condizioni
di manutenzione, tanto che, a dicembre, il professore colse
l’occasione della visita del prefetto Carta, ad alcuni feriti del crollo
di via Magenta, per fargli notare che anche nell’Ospedale di Barletta
esisteva un pericolo analogo in un camerone del 1°piano. E fu
così che ottenne surrettiziamente l’immediato intervento del genio
civile e la esecuzione dei primi lavori di consolidamento statico
dello stabile, del suo ampliamento e della sua trasformazione.
Intanto, per dare inizio all’attività sanitaria, il nuovo direttore
sanitario si vide costretto a portare di suo delle attrezzature e alcuni
apparecchi indispensabili. E inoltre - fine psicologo - si adoperò fin dall’inizio per creare un clima collaborativo fra i sanitari e il
personale infermieristico.
Per la soluzione di alcuni problemi indefferibili attivò tutte
le conoscenze che s’era fatto nella Clinica universitaria di Bari trovando subito una intesa collaborativa
con i primi commissari
prefettizi rag. Massarelli e dott.
Prezzolini e - all’interno della
struttura ospedaliera - col dott.
Michele Damato direttore amministrativo
dell’Ospedale.
Ed ecco come, impegnando
tutte le sue risorse, il professore
ottenne che in pochi anni i 52
malati iniziali del luglio 1952, diventassero
660 del febbraio 1966,
e che da poche decine di sanitari
(fra medici e infermieri) se ne potessero contare varie centinaia.
E per essere più precisi, qualche dato statistico aiuterà a capire
l’eccezionalità della sua attività: nel 1951 i ricoverati erano stati
1840 con 22.828 giornate di degenza; nel 1965 i ricoverati erano
saliti a 14.666 con 210.276 giornate di degenza; così per quanto
riguarda gli interventi chirurgici, nel 1951 erano stati 375, nel
1965 ben 3.800.
A parte lo stabile, nulla di quanto il professore aveva trovato
all’atto del suo insediamento, fu conservato negli anni successivi,
ma tutto venne trasformato ed ampliato col risultato di portare la
capacità ricettiva a 750 posti letto, una cifra destinata ad aumentare
in futuro. In modo particolare i mezzi di assistenza furono potenziati
nei nuovi reparti man mano che venivano a incrementare
la struttura ospedaliera: oltre ai primariati di chirurgia, medicina
e ostetricia, si aggiunsero i reparti di radiodiagnostica, laboratorio
clinico, neuro-patologia, oculistica, pediatria, cardiologia, anestesia
e rianimazione. E inoltre fu creato un centro per la cura fisica
e nucleare dei tumori, una sezione di ortopedia e traumatologia,
una di otorinolaringoiatria, una di stomatologia e una di chirurgia
plastica!
Tutte queste attività il professore le realizzava come direttore
sanitario dell’Ospedale, ma come dimenticare che al tempo stesso
egli svolgeva anche il ruolo di primario chirurgo.
Una speciale cura venne riservata al personale infermieristico,
mediante la istituzione di una scuola per infermieri, vera fucina di
personale qualificato.
Con questi grandi progressi venne naturale che l’Ospedale,
che nel 1951 era di terza categoria, nel 1957 venisse classificato
di seconda categoria e, finalmente, nel 1963, di prima categoria,
perciò fra i primi Ospedali di Puglia.
Merito certo del professore, ma insieme anche della struttura
amministrativa che ne aveva assecondato gli sforzi innovativi in
quegli anni, cominciando dal vertice: dopo il dott. Prezzolini, il
preside prof. Filannino e il vice prefetto vicario dott. Montesanti.
Ma il professore non curò solo tutti questi aspetti relativi
all’espansione della struttura sanitaria; ma guardando lontano, a
partire dalla metà degli anni Sessanta (ne conservo ancora nitido
il ricordo) cominciò a maturare il sogno di realizzare un nuovo
grande Ospedale, magari fuori dalle mura cittadine, per una più razionale fruizione da parte dei ricoverati ed un più agevole accesso
alla struttura. Non mancò di suggerire con discrezione i suoi
preziosi consigli anche relativamente al problema della scelta del
suolo che frenò per molto tempo l’evoluzione di questo importante
progetto.
E questo disegno, della realizzazione di un nuovo nosocomio
non rientrava proprio fra i suoi compiti istituzionali, e tuttavia cominciò a sensibilizzare la classe politica ad ogni livello, cominciando
da quella locale per coinvolgere poi quella provinciale e
regionale. Alla fine anche quella nazionale (basti ricordare i pressanti
solleciti rivolti al presidente Moro e al ministro Lattanzio).
Non c’è dubbio che il professore nella esplicazione delle sue
funzioni era dotato di un grande carisma; non si spiegherebbe diversamente
perché ebbe sempre - nell’esercizio della sua versatile
attività - il solerte sostegno delle autorità sanitarie amministrative,
politiche, religiose, ad ogni livello territoriale, come abbiamo visto.
Ma accanto alla molteplicità delle iniziative intraprese, il professore
promosse sin dal 1952 anche la nascita e la crescita di due
organizzazioni collaterali che volle istituire per agevolare lo sviluppo
dell’Ospedale: l’istituzione della società medico-chirurgica “Carlo Righetti” per favorire lo sviluppo dell’ospedale e migliorare
la qualificazione dei sanitari, e l’istituzione dell’AVIS.
La Società “Carlo Righetti” Già nel 1952, in una sala dell’ospedale, il professore decise,
con l’adesione di venti medici, di dar vita ad una associazione
finalizzata ad affinare il loro livello culturale e clinico attraverso
una libera discussione su tematiche scientifiche e sanitarie.
Iniziativa arricchita dalla formazione in un’attrezzata biblioteca,
alla quale non erano estranei i cospicui contributi scientifici del professore. Già dall’anno della sua costituzione, la Società “Carlo Righetti” promosse incontri per l’illustrazione di casi
clinici di particolare interesse e incoraggiò talvolta anche la loro
pubblicazione, stimolata dalla istituzione di un “Premio Righetti”,
destinato alla relazione clinico-scientifica più interessante discussa
nel corso dell’anno. Il professore, a quel tempo attivò anche
un premio per la migliore tesi di laurea dell’anno accademico in
corso, elaborato da uno studente nato o comunque domiciliato a
Barletta.
L’intento per il quale il professore istituì la Società “Carlo Righetti”,
a ricordo del suo maestro, era quello di conferire un tasso
di scientificità ai sanitari del suo ospedale, sul solco delle migliori
tradizioni umanistiche della scienza medica, per tenere alto il prestigio
della professione, nel richiamo non solo ai grandi medici
del passato come Ippocrate, Celso e Galeno, ma anche con riferimento
agli illustri predecessori barlettani che si erano distinti nel
passato, come Giovan Battista Pizzi nel ‘300, Mariano Santo nel ‘500, Giovanni Azzariti nel ‘700, Antonio Nanula ‘800, e inoltre
Antonio De Giglio, Giuseppe Gaetano Ricco, Giuseppe Dabundo
e Domenico Lobello.
Una iniziativa che nel tempo si rivelerà molto feconda, anche
perché fra quegli associati si conteranno numerose libere docenze.
La nascita dell’AVIS
Ma in quello stesso 1952, il professore, con la collaborazione
del dott. Formentano presidente nazionale dell’AVIS diede vita
alla costituzione della sezione avisina di Barletta la prima in Puglia.
Già se n’era reso conto durante la guerra, quando in Albania,
aveva operato un gran numero di feriti, molti dei quali persero la
vita proprio per mancanza di sangue. Ebbe a dire, il professore, in
un articolo pubblicato per “Sangue e Vita”.
“Voler valutare la importanza di disporre per ogni evenienza
di un flacone di sangue per la cura di un malato è forse difficile
per chi del sangue sa di disporre; ma, ben diversa è la cosa quando
del sangue non si dispone. Posso affermarlo con certezza specialmente
quando a conoscenza di appelli angoscianti e disperati che
ci vengono diretti nella più diverse circostanze. Posso affermarlo
con certezza quando nelle nostre corsie, nelle sale operatorie o nel
Pronto soccorso assistiamo a miracolosi recuperi di vite umane,
altrimenti perdute per sempre. Ecco perché l’AVIS di Barletta, con i suoi donatori
compresi fra 18 e 60 anni, appartenenti
a tutte le classi sociali, ma in particolar
modo ai giovani e ai giovani studenti, ha
contribuito con la sua disinteressata generosità a realizzare i notevolissimi risultati
ospedalieri che conosciamo”.
E questo fu il motivo per il quale il
professore, agli inizi degli anni Sessanta,
per diffondere il significato etico-sanitario
della donazione e per incrementare
il numero delle donazioni a Barletta,
si rivolse al mondo dei giovani studenti
dell’ITC “Geremia Di Scanno” e degli
universitari della FUCI (i primi a costituirsi
in Italia in circoli avisini) e dei
giovani sportivi che daranno vita al G.S.
AVIS-BARLETTA che oltre alla donazione
creerà un foltissimo movimento
giovanile sportivo nella nostra città. Ma
questa è un’altra storia.
Renato Russo
(agosto
2017)
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