Il colonnello Francesco
Grasso simbolo della Resistenza barlettana
“Arrivammo a Barletta, dove mio padre era
stato trasferito a comandare il Distretto e il Presidio Militare,
in una calda giornata di fine settembre del 1938. Ricordo la spiaggia
ancora affollata di bagnanti e i contadini che, nelle strade, vendevano
un’uva incredibile, tanto era bella e dolce, che non avevo
mai vista prima e che non esiste più: la “turchiesca”.
Ricordo anche quanto era per me difficile capire il dialetto barlettano…”
Queste poche righe della prof. Maria Grasso Tarantino raccontano
con efficacia il primo impatto che la famiglia ebbe con la comunità barlettana.
Il padre, il colonnello Francesco Grasso, era nato il 12 luglio del
1888 a Colle Sannita, “un piccolo paese arroccato intorno al
campanile della chiesa di San Giorgio tra gli aspri monti del Sannio”;
era figlio di un medico e secondogenito di una famiglia che contava
ben 8 eredi. Ben presto la grande guerra si portò via Giovanni,
uno dei fratelli, morto in combattimento nel ’17, lasciando
i segni degli eventi bellici anche su di un altro membro della famiglia:
Giuseppe.
“Francesco frequentò i primi anni di scuola a Colle, poi lasciò,
per la prima volta, il paese, gli amici e la casa per frequentare
nel Collegio dell’Abbazia di Cava dei Tirreni, affidata ai
Benedettini, il liceo classico: si distinse come uno degli allievi
migliori. Tornava a casa solo nei brevi mesi estivi”. Queste
sono alcune delle note biografiche tratte dal Diario del colonnello: “La
Resistenza di un soldato da Barletta allo Stalag 367”, redatte
con amorevole meticolosità dalla figlia Maria.
Subito dopo il liceo la scelta decisiva: l’Accademia Militare
di Modena. L’ufficiale ebbe il suo battesimo del fuoco nel
corso della I guerra mondiale che gli valse il seguente encomio solenne: “Non
curante del pericolo, percorreva, durante il bombardamento, la linea
delle proprie truppe incitando con la voce e con l’esempio
i dipendenti, conduceva il battaglione contro le posizioni nemiche
trascinandolo all’attacco”.
Nel ’21 sposò Ada Schinosi di Benevento e “dal
matrimonio nacquero 5 figli: tre maschi, Camillo, Vittorio e Mario,
tutti ufficiali, e due femmine: una Anna Maria, ha sposato un ufficiale,
l’altra… sono io”.
A questo punto la breve biografia si aggancia alla cronaca di quelle
terribili giornate della fine dell’estate del 1943 quando il
colonnello, comandante del Presidio militare di Barletta, con la
sua tenacia ed il profondo senso dell’onore si oppose fermamente
all’aggressione tedesca. “A partire dall’11 settembre,
si combattè una vera battaglia. I tedeschi tentarono ripetutamente
di penetrare nell’abitato dalle diverse vie di accesso, ma
furono decisamente respinti e subirono gravi perdite in uomini e
mezzi”.
Dopo una strenua resistenza, non essendo arrivati i soccorsi ed i
rifornimenti richiesti con insistenza al Comando di Bari, il colonnello
Grasso prese la difficilissima decisione di arrendersi di fronte
alle soverchianti truppe germaniche, per salvare la popolazione da
una sicura distruzione. Deportato in un lager nazista, rifiutò ripetutamente
l’arruolamento nell’esercito tedesco ed in quello della
Repubblica di Salò, pagando di persona per questo gesto.
Dopo mille penose traversie così l’ufficiale racconta,
nelle ultime pagine del suo diario, le concitate fasi della liberazione: “16
aprile 1945. Ore 7,45. La terra trema tutta. Segue una fortissima
lacerante detonazione. I vetri della nostra baracca vanno in frantumi
e una parete di essa è mezza divelta… Alle ore 15 sappiamo
che gli americano sono a Norimberga e che il nostro campo è circondato
dalle loro batterie… 17 aprile… Verso le 8 si sparge
la voce che gli americani faranno presto il loro ingresso nel campo
ed alle ore 8,30 due mastodontici carri armati si presentano ai reticolati
abbattendoli. Tutti sono fuori dalle baracche e dai camminamenti.
Grida di gioia e sventolio di fazzoletti e di berretti accolgono
i due mezzi corazzati…”.
Il 3 luglio del 1945 il col. Grasso viene finalmente rimpatriato “Salgo
le scale e sono alla porta di casa… Mi rifugio fra le braccia
dei miei cari. Finalmente … dopo 22 mesi”. Dopo il rientro
l’ufficiale non volle più parlare della sua esperienza
e nel marzo del ’62 sentendo vicina la fine scrisse nel suo
testamento: “I miei funerali siano modesti come modesta è stata
tutta la mia vita. Una croce, un prete ed il picchetto d’onore
militare che mi compete”. Nell’ottobre dello stesso anno
la città si strinse attorno a quello che, qualche decennio
dopo, sarebbe diventato la figura simbolo della resistenza cittadina.
Nel 1998, all’indomani della consegna della prima delle due
Medaglie d’Oro assegnate al gonfalone cittadino per i “tragici
fatti del ‘43”, Barletta volle ricordare il colonnello
Grasso dedicandogli una strada tra via Imbriani e via Milano.
di Marina Ruggiero
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