INTERVISTA
A CARLO MARIA GIULINI
I novant’anni
del famoso direttore d’orchestra
nato a Barletta. I suoi legami con la città.
Non tutti sanno che il Maestro
Carlo Maria Giulini è nato a Barletta il 9 maggio del 1914, quest’anno
ha dunque compiuto novant’anni. Viene da chiedersi cosa accomuni
la nostra solare civiltà mediterranea ad un uomo la cui
formazione intellettuale appare profondamente radicata nell’humus
fertile della cultura mitteleuropea, un uomo che parla correntemente
l’austriaco con l’inconfondibile dolce accento
dei viennesi.
In verità a Barletta vi nacque per caso, suo padre
Ernesto giunse nella cittadina pugliese per dirigervi lo
stabilimento
locale della Feltrinelli, una
importante ditta di commercio di legnami.
Carlo Maria respirò aria di Puglia per un anno soltanto prima di
trasferirsi con la sua famiglia a Ponti sul Mincio.
La sua esperienza di musicista incominciò prestissimo, giovanissimo intraprese
la carriera di violista prima di scoprire in sé, insopprimibile, il desiderio
di dedicarsi alla direzione d’orchestra.
Scopritore della Callas, interprete eccelso dei romantici tedeschi, rigoroso
concertatore d’opera è certamente un titano della direzione d’orchestra,
un riferimento eccelso di interpretazione musicale.
Il suo profilo affilato ed aristocratico si fa immediatamente serio quando
dalle facezie si passa a conversare di ciò che gli è più caro,
la musica.
Maestro potrebbe dirci in breve in cosa consista la sua interpretazione
per così dire
storica della musica?
L’origine della musica si perde nella notte dei tempi, è fatta di
continuità ma anche di eventi che ne hanno modificato, a volte sensibilmente,
il corso evolutivo. Fino a Guido d’Arezzo, dunque, essa è contrassegnata
da una rigenerazione continua; parte integrante dei riti e dei giochi, originariamente
rituali anch’essi, quest’arte si è tramandata di generazione
in generazione per via orale, per mezzo dell’esperienza collettiva.
L’invenzione della notazione musicale, appunto, fu il primo passo verso
il moderno modo di comporre. Da Monteverdi a Mahler la musica visse uno dei suoi
periodi più fulgidi. Sospinta in una rapidissima corsa evolutiva è stata
in breve tempo oggetto di mutamenti teorici e materiali talmente vasti ed intensi
da far sì che gran parte delle possibilità attinenti all’elaborazione
intrinseca alla tonalità si concentrassero in quel lasso di tempo. Lo
strumento della notazione offrì ai compositori l’opportunità di
sviluppare le potenzialità proprie del sistema armonico, ed un maggiore
controllo formale.
Si riferisce ad una musica le cui premesse permangono all’interno della
percezione psico-acustica dell’uomo, ma poi?
Ho capito dove vuole arrivare. Poi? Poi alcuni musicisti, indubbiamente
geniali, fondatori di quella che venne denominata “Wiener schule” (La scuola
di Vienna), constatato l’esaurimento delle potenzialità di sviluppo
interne alla tonalità (nulla era pensabile dopo il Tristano), avvertirono
l’urgenza di sperimentare un nuovo modello sistematico di aggregazione
dei suoni, un procedimento che io continuo a considerare arbitrario o meglio
dannatamente cerebrale, in quanto nulla ha a che vedere con il nostro sistema
di decifrazione psicoacustico!
Ma non crede che la musica sia inevitabilmente espressione del proprio
tempo, e che pertanto trovi nell’orizzonte della storia la propria
naturale ed imprescindibile autorevolezza?
Vede io penso questo, la musica è legata al proprio tempo, tutta
la musica! Ma alcune composizioni attingono a significati e valori talmente
alti e perfetti
da valicare ogni confine spazio-temporale, la si ascolta oggi come ieri,
la si apprezza a Barletta come a New York, altre, invece, permangono irrimediabilmente
legate al contesto storico in cui furono create. Penso che la maggior parte
della
musica contemporanea sia inevitabilmente datata.
Una delle composizioni che più ama è la Messa in SI minore
di Bach, vero?
Sì è certamente un capolavoro assoluto, l’ho registrata qualche
tempo fa dopo ben dodici anni di studio! Nel concertarla ho pensato all’organo,
strumento davvero divino. Con l’orchestra monacense dei Bayerischen Rundfunk
sono riuscito, credo, ad evocare una sonorità al contempo mistica e severa. È stata
una grande impresa, alla fine della registrazione ho tirato il sospiro di sollievo
più lungo della mia vita!
È un monumento talmente immenso da aver esaurito ogni mia risorsa fisica
ed intellettuale, ed ancora oggi lontano dalle scene trasalisco al
solo ricordo.
Francesco Caporale (maggio
2004)
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