CARO AMICO TI SCRIVO
RICORDO E RICORDI DI MANRICO GAMMAROTA
Rosa era andata via da qualche
mese quando all’improvviso
mi sei sbucato davanti da una stradina
laterale, Manrico, ed è stato abbraccio.
Forte, intenso, lunghissimo.
E poi parole, tante, un fiume in piena
di parole, che però scorrevano apparentemente
quiete. La bocca abbozzava
un sorriso ma i tuoi occhi non
ridevano. Vidi in essi l’ombra velata
che spesso ci vedevo ma vestita di
una consapevolezza nuova, la consapevolezza
dell’ineluttabile.
Non avevo provato a dirti nulla
nemmeno prima, e anche quel giorno
ti ascoltai soltanto, fino alla fine.
Dopo le tue ultime parole provai a
dire che per Rosa il tempo compiuto
aveva avuto sicuramente un senso e
tu mi rispondesti, triste, “attendo di
conoscere il mio senso”.
Ma poi la vita, piano piano, ti aveva
ripreso. Sembrava, perlomeno. Ma
no, era proprio così, com’era giusto
che fosse. E la vita ti aveva ridato gli
entusiasmi, e il senso era stato, prima
di tutto, l’amore per Luca&Mattia,
i tuoi figli, i gemelli che crescevano
bene, che studiavano e si stavano facendo
il loro posto nel mondo. I tuoi
meravigliosi ragazzi che con amore,
compostezza e dignità ti hanno ricordato
in una chiesa gremita e piangente
ai piedi di quella bara. “Non ho mai
nascosto a mio padre che lo amo tantissimo” e “hai detto, papà, quella volta, che
ti sentivi come un’ochetta spiumata”,
sono state alcune delle parole che
Luca e Mattia ti hanno rivolto, con gli
occhi asciutti, chiedendo a tutti, implicitamente,
di fare silenzio e di non
provare a pensare a una qualsiasi ragione
per il percorso che ti sei scelto,
Manrico.
I giovani come i tuoi figli erano nei
tuoi pensieri, nei tuoi entusiasmi e
nel tuo senso della vita anche adesso,
poco prima che scegliessi di andartene.
Me lo avevi detto con gioia, con
la tua solita gioia garbata, quando ti
avevo intervistato a proposito della
nuova stagione teatrale, la seconda
che avevi scelto per noi. Nuovi Sguardi è una rassegna di quattro spettacoli
serali, a prezzi contenuti, per permettere
ai ragazzi di andare a teatro… a fine stagione
vi sarà la Prima nazionale del “Custode” di Harold Pinter, con la mia regìa,
dove i giovani potranno assistere alle
prove. (Perdonami, ma non posso fare
a meno di ricordarmi che proprio in
una pausa delle prove di quello spettacolo
hai deciso di andartene senza
salutare, Manrico… il senso, il senso,
dov’è il senso?)
E poi c’era la tua città, quella Barletta
qualche volta un po’ cialtrona,
che però ti amava e ti ha abbracciato
forte forte, incredula e dolorante.
Farò seminari, lavoro con i gruppi locali,
teatro a “km. 0” con le compagnie
del territorio… abbiamo inserito cinque
compagnie del territorio nel programma
dedicato alle scuole, in una visione di
cooperazione, anche affinché sviluppino
temi importanti come, per esempio,
quello della pace. Sarebbe bellissimo che
la proverbiale litigiosità e conflittualità dei barlettani diventasse cooperazione e
che Barletta, oltre che città della Disfida,
potesse essere città della pace… una direzione
artistica non fine a se stessa, ma che
abbia ricadute sulla città… compagnie
locali che devono avere il “Curci” come
punto di riferimento, cuore pulsante di
un progetto culturale.
Del resto, il titolo della stagione
attuale del “Curci” la dice lunga sulla
sua vision della città, della cultura,
della politica. Quel “teatro rende liberi” che, mi avevi spiegato, dà significato
alla cultura, crea i presupposti
per una società libera e dà alla politica
il compito di investire in cultura,
unico senso di una società evoluta e
civile.
Tutte queste cose me le hai dette
con la tua bellissima voce profonda e
col tuo tono sempre gentile, sempre
propositivo, sempre attento al futuro.
Sai, Manrico, cosa ho pensato
guardando tante e tante fotografie,
dopo? Che pur conoscendoti da
molto tempo non mi ero mai accorta
della tua mimica facciale poliedrica,
della capacità di mutare non solo
espressione ma addirittura volto. Poi
ho capito. La parola chiave: volto. Il
Manrico privato e quello pubblico
erano speculari ma tu non eri bifronte,
non eri la maschera e il volto. Eri
solo il volto.
Amico mio, tutto torna. Sul tuo sito
internet campeggia un pensiero di Roberto
Gervaso “niente rende l’uomo
più ridicolo che l’ostinarsi a sembrare
quello che vorrebbe essere”.
E tu non hai voluto ostinarti, non
hai voluto essere ridicolo, non hai
voluto sembrare, hai voluto essere. Ti
accompagni questo coraggio, e il nostro
infinito Amore.
Carmen Palmiotta
(marzo 2015)