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Barletta tra XIX e XX secolo
Cultura, politica e società

Negli anni che si sviluppano a cavallo tra il XIX e il XX secolo la visione che emerge della città di Barletta è l’immagine di un promettente paese alle prese con il progresso e lo sviluppo. La modernità si fa strada lentamente, ma in modo inesorabile, in ogni ambito e spazio urbano. A partire dal 1860, anno della proclamazione dell’Unità d’Italia, anche la città di Barletta si trova a fare i conti con tante novità governative, politiche, fiscali e con non pochi disagi causati dalle grandi distanze dalle sedi centrali del Governo. È nota la difficilissima situazione meridionale alla nascita dello Stato italiano alle prese con arretratezza, brigantaggio, povertà. Come per altre realtà urbane, tra cambiamenti crudeli, talvolta incomprensibili ai più, anche Barletta raggiunse un apprezzabile grado di sviluppo e di rinnovamento.
Il progresso fu apportato dalle novità nazionali, dalla tecnica, dalla scienza, ma anche dalla buona volontà e dall’operato sincero e disinteressato degli uomini che amarono la propria città. È una Barletta post-risorgimentale quella che Chieffi lascia intravedere attraverso la caricatura dei concittadini più o meno illustri, la cui vicenda personale, in maniera diseguale ed eterogenea, contribuì all’evoluzione sociale del paese.
Francesco Saverio Vista riferisce che tra il 1860 e il 1890 il paese crebbe smisuratamente, passando dai 24.000 abitanti del 1860 ai 42.000 del 1890. Lo sviluppo, continua lo storico, fu, però, alquanto disordinato, a tratti antiestetico dal punto di vista urbano e comportò una triplicazione dell’abitato, cui fece seguito un immediato aumento degli esercizi commerciali e alimentari. Il progresso, com’è noto, non portò solo ad una espansione incontrollata, ma anche allo sviluppo di servizi e attività che determinarono una crescita continua e costante della città. I politici locali si interessarono di perseguire alcune tra le più grandi imprese civili di pubblica utilità.
Uomini come Germano Romeo Scelza, Pietro Cafiero, Giacomo Boggiano, per citare i più conosciuti, seguirono attentamente i lavori di ampliamento del porto e della linea ferroviaria statale, che consentirono alla città di incrementare i traffici commerciali e di migliorare gli spostamenti dei viaggiatori, mettendo la cittadina pugliese al passo con il resto della Nazione.
Nel 1842, fu significativa la proposta di autotassazione che i commercianti barlettani sottoscrissero e presentarono al sindaco, al fine di rendere possibili i lavori di sistemazione e ammodernamento del porto. Il progetto Lauria-Giordano del 1845-49 non fu realizzato completamente a causa dell’ingente spesa. Solo nel 1879 i lavori furono appaltati, la spesa fu distribuita fra Stato, Provincia e Comuni dell’entroterra e l’opera, cominciata nel 1880, fu terminata nel 1899. Importanti realtà locali come l’opificio meccanico e fonderia di ferro e bronzo dei fratelli Graziano, la presenza della sede della Banca d’Italia, la fondazione della Nuova Cassa di Risparmio di Barletta del 1898, sono solo alcuni degli esempi della volontà di sviluppo mostrati dalla città. La vicenda della Cassa di Risparmio merita, ad esempio, un’attenzione particolare; riferisce Anna Cassandro, nel suo studio sull’Istituto di credito, che a Barletta spettò il primato di aver istituito nel 1876 la prima Cassa di Risparmio in Puglia con l’allora sindaco Nicola De Nittis, la cui sede fu il Monte di Pietà. Tuttavia la Cassa chiuse repentinamente nel 1893, per riaprire nel 1898 con il nome di “Nuova Cassa di Risparmio” con una durata altrettanto breve (1912). Alcuni dei personaggi raffigurati furono coinvolti direttamente ed indirettamente nella vicenda. Molti giornali e quotidiani locali dell’epoca si interessarono della questione, non solo per l’importanza della Cassa, ma anche perché molti uomini importanti componevano le redazioni di tali giornali e, principalmente, perché la Cassa era legata per statuto all’Amministrazione Comunale. Pertanto, in quanto affaire pubblico fu spesso al centro dei giochi politici dei diversi amministratori che si avvicendarono alla guida della città. I giornali che più si occuparono della “Cassa” furono “Il Circondario di Barletta”, fondato da Valdemaro Vecchi, “L’Unione liberale” e “L’Organetto”, quest’ultimo più polemico di tutti nei confronti degli ex amministratori della Cassa, dei liquidatori, delle Commissioni di sorveglianza e di Germano Romeo Scelza. Fra i più assidui collaboratori del giornale, rileviamo Pasquale Fusco e Giovan Battista Chieffi, che firmò gli articoli più duri e polemici.
Tra le opere pubbliche sono ancora da ricordare: la nascita dell’asilo comunale d’infanzia (Principe di Napoli), la cui vicenda cominciò nel 1862 e la costituzione di una Società Anonima di Elettricità con sede in Barletta nel 1911.
La società, nata il 26 marzo 1911, con un capitale iniziale di centocinquantamila lire, fu presieduta dall’ingegner Onofrio Dellisanti ed inaugurò i suoi stabilimenti il 27 aprile 1919, con una solenne benedizione tenuta dal canonico Francesco Scuro. Lo scopo di tale associazione era quello di produrre e distribuire l’energia elettrica per qualsiasi uso, di acquisire e cedere concessioni, assumere impianti ed esercizi, di costituire nuove società, partecipare a società costituite dello stesso carattere o affini. Alla nascita di tale società parteciparono centinaia di cittadini, ognuno con varie quote associative. Dieci anni dopo l’azienda chiuse.
La Biblioteca Comunale di Barletta conserva le copie di questo materiale catalogato in ordine di anni e anche le importanti copie di Numero Unico, diffusissime nella nostra città. Dalla lettura di questi articoli si ricava un’immagine abbastanza completa della situazione cittadina e soprattutto un’idea di sviluppo che, come sempre, fu un momento di crescita a volte disumana, ma che portò anche vantaggi notevoli e benessere.
La caratteristica più apprezzabile di Barletta di fine Ottocento e inizi Novecento è la conservazione della sensibilità e amore per il passato, per le tradizioni e per la storia, che rimangono modelli encomiabili sempre presenti nella mente dei concittadini. Le immagini di quegli uomini sono figure di persone sensibili, care, a tratti ingenue, che tentarono di preservare integrità e moralità anche nel passaggio ad un mondo contemporaneo più scaltro e disincantato.
La città che si sviluppava davanti ai loro occhi probabilmente non era quella che avevano in mente, tentando di preservarla attraverso la loro viva testimonianza e il loro agire. Senza abusare di un’espressione più che conosciuta, sono gli uomini che, inconsapevolmente o meno, dopo esser stata fatta l’Italia, si trovano a fare gli italiani.
Tornando al nostro illustratore, per comprendere a fondo la sua attività e darne il giusto significato, è opportuno fornire anche qualche cenno della situazione culturale locale. La città soffriva molto la lontananza dal centro di riferimento meridionale più importante (Napoli), senza mostrare né possedere le capacità di inserirsi pienamente in un circuito artistico più sviluppato. Chieffi, nel suo piccolo, costituì l’ennesimo esempio di tale chiusura, risultando il più contemporaneo e il più aggiornato di tutti nei suoi anni, anche se l’arte e la cultura erano prerogativa dei circoli cittadini, rappresentata da uomini illustri, letterati, storici.
Gli artisti in senso stretto erano molto pochi e praticavano di pari passo l’insegnamento, come Giambattista Calò e Vincenzo De Stefano. I più fortunati si erano trasferiti altrove, anche se con non poco sacrificio: Giuseppe Gabbiani a Napoli, Raffaele Girondi a Parigi, sulle orme del più illustre di loro, Giuseppe De Nittis.
Chieffi, con grande sorpresa, propose nella sua opera i caratteri e le modalità della caricatura risorgimentale, apprezzata e conosciuta nelle principali città post-unitarie, come Torino, Roma, Milano, ma anche le europee Parigi e Londra. Lo sviluppo esagerato della testa rispetto all’esile corpo, le sintetiche, a volte timide ma incisive didascalie (non presenti su tutti i fogli) che accompagnano il disegno, sono tra le più ardite soluzioni caricaturali che Chieffi realizzò e che lo avvicinarono ai più noti caricaturisti italiani.
Rimase, tuttavia, lontano dai temi nazionali ricorrenti (Risorgimento, Unità d’Italia) che riempivano di caricature le pagine dei giornali più conosciuti e letti negli ex Stati come il Lombardo-Veneto, il Piemonte di Cavour e la Roma dei Papi del XIX secolo.
La sua espressione mantenne un sapore locale, un’interpretazione in chiave moderna della vita e delle vicende che si vivevano.

 

(gennaio 2009)


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