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BARLETTA - Protagonisti del Novecento - Vol. 1
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CASTELLANO CENT’ANNI DOPO
Intitolato allo studioso il piazzale antistante l’Antiquarium di Canne

L’intitolazione del piazzale dell’Antiquarium a Sabino Castellano è il primo riconoscimento allo scopritore del sito archeologico di Canne dopo quasi cento anni dalla sua “riscoperta”, che avvenne nel 1920. Riscoperta perché Canne esisteva già, da almeno 3000 anni, cioè a partire dall’anno Mille avanti Cristo, che è la data presumibile della nascita di Canusium alla quale Tenimentum Cannarum era strettamente legato, in quanto ne era l’“emporium” granario.
La meritoria dedicazione della intitolazione del piazzale dell’Antiquarium a Sabino Castellano può costituire al tempo stesso il punto di arrivo di un tardivo riconoscimento dopo una quasi secolare attesa, ma altresì un nuovo punto di partenza perché questa scoperta, ignorata per così lungo tempo, sia culturalmente assimilata dagli studiosi, dalle sovraintendenze archeologiche - in particolare dalla nuova direttrice dell’Antiquarium Miranda Carrieri - dagli storici nei loro studi monografici, di cui quello presentato dalla dott.ssa Damiana Caputo è una prima approfondita testimonianza, che ci auguriamo non sia l’ultima, e che in ogni caso trovi il modo di essere diffusa presso i presidi culturali territoriali pugliesi per evitare lo stesso errore del passato, cioè quello della dimenticanza.
Perché ci pare riprovevole che non se ne sia mai parlato nel dopoguerra, a parte una breve citazione di Oronzo Pedico, profondo studioso di Canne, in una copiosa monografia sull’antica Canne purtroppo inedita, e in una intervista resa al periodico “Nuova Eco” del mese di aprile del 1961. Riprovevole che non se ne sia mai parlato specialmente negli ultimi trent’anni, nei quali pure qualcuno ha iniziato a porre il problema della paternità dello scoprimento del vico, (a cominciare dalla famiglia) senza aver mai avuto alcun riscontro.
Per cui è assurdo dover leggere ancora quest’anno, da un resoconto del quotidiano nazionale “Il Giornale”, a pagina intera, l’affermazione di un custode storico di quel sito (Domenico Lomuscio), che ancora oggi ne attribuisce la scoperta a Michele Gervasio, notizia che provocò il comprensibile risentimento dei familiari.

*   *   *

Per meglio circoscrivere il campo di indagine relativamente agli esiti della ricerca di Sabino Castellano, per meglio scontornarne i meriti, ma anche i limiti, bisogna preliminarmente distinguere la cittadella di Canne (mons Cannarum) dall’area circostante della famosa battaglia. L’intero sito cannense era stato del tutto dimenticato dalla seconda metà del XIII secolo. In particolare era stato abbandonato definitivamente dopo il 1276, anno della traslazione dei resti di S. Ruggero a Barletta.

Per quanto riguarda l’area larga della battaglia, sarà visitata ed esplorata a partire dal Settecento, sullo sfondo di un tempo dominato dalla cultura napoletana di Giovan Battista Vico, Pietro Giannone, Galiani, Genovesi e Filangieri, il grande archeologo e storico tedesco Johann Joachim Winckelmann indirizzò i viaggiatori francesi del Gran Tour (e non solo), a riscoprire la Magna Grecia. Ma su quel percorso era Canne, per cui non saranno pochi gli archeologi professionisti e quelli dilettanti che, diretti a Locri, Crotone, Sibari e Turi, sosterranno sulla piana di Canne per tracciare un profilo topografico sull’area sulla quale si presumeva si fosse combattuta la famosa battaglia i cui resoconti sono stati pubblicati da Schena e curati dal prof. Giovanni Dotoli.
Mai sulla collina, mai cioè sulla Cittadella, sull’antico vicus romano, restato del tutto ignoto nel corso di quei secoli, sul quale calerà un collasso informativo che durerà ininterrottamente dal 1276 fino al 1920, anno in cui Castellano lo riportò alla luce, sotto i riflettori di un ritrovato interesse che finirà col coinvolgere prima il grande storico prof. Ettore Pais, e poi lo stesso Mussolini che ordinerà ai funzionari del Distretto culturale di Bari di riprendere gli scavi interrotti dal Castellano.

E questo è allora il grande merito storico e archeologico di Sabino Castellano, quello di aver riportato alla luce l’antico vicus di Canne. Ma vediamo come andarono le cose. Il giovane Castellano, poco più che ventenne, iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma, abitava in viale Miale da Paliano n. 3, sullo stesso pianerottolo dell’abitazione di mons. Salvatore Santeramo, appassionato cultore di storia barlettana e come lui iscritto all’“Associazione Amici dell’Arte e della Storia barlettana”, della quale era anzi anche segretario.
Santeramo, che proprio in quegli anni stava collazionando le antiche pergamene di Barletta medievale, rinvenute nelle polverose cassapanche della Cattedrale, poiché tra quelle pergamene ce n’erano diverse sul vico di Canne, chiese a Castellano di approfondirne la conoscenza con proiezioni retrospettive sul cono di luce della grande storia di Roma.
Castellano accolse di buon grado la proposta e anzi decise di farne oggetto della sua tesi di laurea, della qual cosa parlò col suo professore di storia romana antica, il famoso prof. Ettore Pais che proprio in quegli anni stava scrivendo una Storia di Roma, nella quale avrebbe dedicato ben due volumi alla seconda Guerra Punica (saranno pubblicati nel 1927), nella quale appunto rientrava la famosa battaglia fra romani e cartaginesi.
Cominciò così, il giovane studioso, a frequentare quel sito, immerso in una inestricabile boscaglia di rovi e sterpi… E sembrandogli una ricognizione difficoltosa, chiese un sostegno ai soci dell’Associazione degli Amici dell’Arte e della Storia barlettana. Invito raccolto dal presidente dell’Associazione Vito Antonio Lattanzio (padre del prof. Ruggero Lattanzio) il quale, essendo direttore sanitario del nosocomio, chiese ad alcuni infermieri di formare un gruppo di scavatori che intrapresero con impegno quel lavoro. Nel corso del quale, dalla penombra di un millenario oblio, cominciarono ad emergere le prime vestigia dell’antica Canne: i miliari, le are votive, numerose iscrizioni, bellissimi policromi mosaici, ed altro.
Castellano sulla scorta di altri studi sulla storia della battaglia (allora andava per la maggiore la “Storia di Roma” di Gaetano De Sanctis) compilò la sua tesi che due anni dopo consegnò al prof. Pais, col quale la discusse nella seduta di laurea del 21 luglio del 1921. Il prof. Pais la segnalò ai membri della Regia Accademia dei Lincei, i quali, dopo che Castellano l’ebbe letta, convennero di promuoverne la pubblicazione e l’inserimento negli Atti della Regia Accademia (vol. XXXI, fasc. 5).
Castellano, anche se – dopo la laurea – andò ad insegnare, prima in Sicilia, quindi al Nord, non abbandonò gli studi sulla Cittadella di Canne e sulla famosa battaglia. Ce ne sono pervenute delle attestazioni documentali e fotografiche: dell’estate del 1921 è una prima gita a Canne alla riscoperta dell’antico vico; del 1925 è una foto di Sabino intorno ad un’ara appena scoperta con un gruppo di Amici dell’Arte e della Storia barlettana; dell’estate del 1930 è una importante visita di un gruppo di giornalisti romani – guidati da Castellano – sui luoghi degli scavi appena iniziati qualche mese prima ad opera di Michele Gervasio; del 1932 è la pubblicazione di uno studio sugli Scavi di Canne sulla rivista “Mondo Classico”. E ci saranno altre occasioni in cui Castellano verrà a Barletta (come in quello stesso 1932) per celebrare il II centenario della dedicazione della Città alla Madonna dello Sterpeto di cui ci ha lasciato delle pagine indimenticabili. E poi nel ’38, ancora una volta, con gli Amici dell’Arte e della Storia barlettana, in una gita a Canosa…
Frattanto, a Roma, nel 1938, nella temperie dell’epopea imperiale, infiammata dalla esaltazione del duce alla ricerca di grandi eventi del passato, fu ordinato all’on. Leonardo d’Addabbo (presidente dell’Ente Cultura Fascista di Terra di Bari), di affidare al direttore del locale Museo Archeologico Michele Gervasio, una campagna di scavi sul sito cannense. Iniziati ai primi di maggio sulla collina, i lavori, sorvegliati dai funzionari della Sovrintendenza Giovanni Villani e Arcadio Campi, proseguirono sulla riva sinistra dell’Ofanto.
Non c’è alcun dubbio che quegli scavi fossero effettuati partendo dagli studi di Castellano e dalle sue pregresse, approfondite ricerche. E che gliene venisse dato atto, è confermato dalla visita che una delegazione di giornalisti romani - di cui abbiamo detto - fece a Canne dopo qualche mese, l’8 luglio del 1930, i quali vennero accompagnati sui luoghi delle ricerche proprio da Sabino Castellano e da mons. Salvatore Santeramo.

Gli scavi, affidati all’équipe del direttore Michele Gervasio, si protrassero per nove anni, fino all’inizio della seconda Guerra Mondiale, quando furono interrotti. È deplorevole che Michele Gervasio, nella monografia che diede alle stampe nel 1938, in “Japigia” (la rivista della Società di Storia Patria), non abbia fatto cenno alla preziosa opera di Sabino Castellano otto anni prima con tanto di pubblicazione a cura della Regia Accademia dei Lincei! Anni durante i quali Castellano, per ragioni di lavoro, si era trasferito prima a Lecce (nel ’33, dopo la nascita di Antonino Pio), poi a Rimini (’34), ad Alessandria (’37), Pesaro (’39), infine a Genova (dal novembre ’45), dove si stabilizzò con la famiglia. Senza quindi poter più seguire – da così lontano – le vicende legate ai lavori di scavo. I quali ripresero a metà degli anni Cinquanta ad opera della dott.ssa Fernanda Tinè Bertocchi. Era ormai lontano il ricordo dell’esordio di quell’impresa archeologica; e del resto Castellano era a Genova dove svolgeva la funzione di preside e s’era lasciato alle spalle la paternità di quella remota, straordinaria scoperta, che noi siamo oggi qui a ricordare per dargliene merito.

Renato Russo
(2 dicembre 2017)

1. Sabino Castellano in una foto giovanile del 1922

2. Collina di Canne, estate 1925.
Un gruppo di Amici dell’Arte e della Storia Barlettana attorno all’ara votiva dedicata a Titius Felix, appena scoperta. Da sinistra in senso orario: l’avv. Michele Tresca, il prof. Sabino Castellano, il dott. Vito Lattanzio, il prof. Pasquale Leporace, il capo cantiere Michele Damato

3. Collina di Canne, 8 luglio 1930.
Sabino Castellano (secondo da sinistra) accompagna il giornalista del “Corriere della Sera” Aldo Valori (secondo da destra) sull’altipiano della collina di Canne

4. Copertina della monografia di Sabino Castellano “Della topografia della battaglia di Canne”

5. Schizzo a matita del canonico Salvatore Santeramo (di Mauro Di Pinto)

 

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