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25 luglio 2007: Chiusura della fase diocesana della Causa di Beatificazione e Canonizzazione
La vita del Servo di Dio don Ruggero Caputo, alla luce dell’insegnamento di Benedetto XVI

“Rendimi conto, Egli mi dirà, della vocazione, delle innumerevoli grazie attuali, del Sangue sparso per te e per tutto il mondo, di cui ti resi ministro… rendimi conto della vocazione all’adorazione”… È quanto immaginava don Ruggero che Gesù gli avrebbe chiesto (o gli ha chiesto!) quando “un giorno quegli occhi spenti, quella bocca silenziosa” del suo “dolce Crocifisso Gesù” si sarebbero rivelati alla sua anima al momento del giudizio finale: rendere conto della vocazione all’adorazione.
Nell’iter del processo diocesano di Beatificazione e Canonizzazione del sacerdote barlettano, il Servo di Dio don Ruggero Maria Caputo del SS. Sacramento (1907-1980), che si chiuderà in Cattedrale il prossimo 25 luglio, ho avuto la grazia di collaborare per la trascrizione dei suoi testi spirituali e, quasi al termine di questo lavoro, mi piace innanzitutto meditare e contemplare Gesù Eucaristia e Gesù Crocifisso attraverso le sue lunghe e intense meditazioni, frutto dell’unica contemplazione del Santissimo Sacramento durata per tutta la vita del Servo di Dio (da quando da bambino si addormentò davanti al Tabernacolo, fino al suo ultimo respiro); e qui condividere l’esperienza di conoscere don Ruggero “dal di dentro”, dalla sua vita spirituale, dalla sua vita nello Spirito Santo, per comprendere il segreto di tanta fecondità lungo i suoi anni di ministero sacerdotale, dai quali sono scaturite circa duecento vocazioni femminili e oltre dieci vocazioni sacerdotali.
La vocazione di don Ruggero, come sempre e ovunque egli stesso scriveva, era quella di adorare il SS. Sacramento: «tu devi stare vicino al SS. Sacramento sia fisicamente che spiritualmente, perché la tua vocazione è nata lì ed è nata per il SS. Sacramento. Se tu non avessi nessuna attività pastorale, ti basterebbe lo stare vicino al S. Tabernacolo per adempiere pienamente la tua missione. Che se poi, tu facessi tante e tante opere pastorali e non stessi per nulla in adorazione e in unione con Gesù Sacramentato, allora tu non avrai dato adempimento alla tua vocazione e sarai fuori strada e sarai preda degli avvoltoi […] Tu sei fatto così, sei strutturato così, sei fatto solo per l’Adorazione il resto è un semplice contorno» (luglio 1973).
Tentiamo di comprendere che cosa abbia significato per don Ruggero essere Missionario, Adoratore del SS. Sacramento. Ci lasciamo guidare dalle parole del Santo Padre durante la Messa della XX Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia; egli ci ha consegnato due forme, due momenti inscindibili dell’adorazione a partire dall’accezione greca e latina del termine. Benedetto XVI dice così: «La parola greca suona proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire […]. La parola latina per adorazione è ad - oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere».
Il Papa ci offre le chiavi di lettura dell’esperienza di questo sacerdote.
La prima forma di adorazione evidente in don Ruggero è quella di abbraccio, unione, Amore (ad - oratio). Spesso don Ruggero scrive di abbracci, baci, dolcezza con il suo Gesù. Ne parla spesso quando riporta ciò che ha vissuto durante la Celebrazione Eucaristica e durante le adorazioni che prolungavano le sue Messe. Racconta di fuoco, amore che brucia, infiamma, scrive di essere tutto avvolto da questo amore, e poi ancora baci, abbracci e ancora baci. Ci sembra di essere dinanzi al diario di un innamorato, e lo è realmente. Questo Piccolo Prete innamorato, come egli stesso si definiva, sentiva su di sé questa dolcezza, questa tenerezza, pienamente umana e pienamente divina. E, ormai avanti con gli anni, continuava a chiedere di essere sempre così unito al suo Amore: «Vedi, Gesù, proprio così: le mie mani nelle tue mani, i miei passi nei tuoi passi, i miei pensieri nei tuoi pensieri, la mia volontà nella tua volontà, il mio cuore nel tuo dolcissimo Cuore, la mia vita nella tua vita, la mia morte nella tua morte» (7 - 14 ottobre 1973). E poi: «Gesù, Gesù, tienimi vicino, vicino a te, sono troppo bambino, troppo fragile, troppo incostante. Tienimi: fammi poggiare il capo sul tuo Cuore, fammi sentire i palpiti del tuo Cuore» (luglio 1975).
Di certo anche per don Ruggero, come ci insegna il Santo Padre, questa adorazione viene dopo la proskynesis (forse inconsapevolmente), ma è quella che colpisce prima poiché probabilmente non siamo abituati.
Leggendo per la prima volta quanto il Servo di Dio riportava su questi momenti di fortissima intimità con Gesù, la sensazione è di smarrimento: che significa? Che sta dicendo? Cosa prova?
«Oh, segreti di Dio, io non mi stancherei mai di spiegarli se pensassi di riuscirvi, almeno in parte. E pertanto dirò mille spropositi pur di cogliere nel segno almeno una volta, e per render più lodi al Signore…»; così scriveva santa Teresa d’Avila, che per obbedienza doveva trovare il modo per spiegare ciò che Dio concede all’anima nella preghiera. Ella cercava paragoni, immagini, tutto era sempre insufficiente… Alla stessa maniera i baci, gli abbracci erano il modo più semplice e povero usato da don Ruggero per ricordare (a se stesso, prima che ad altri!) quello che la sua anima riceveva dall’unione con il suo “dolcissimo Gesù”.
Dolcezza, tenerezza, Amore… sempre anche nei momenti di profonda sofferenza! Del resto, l’ineffabilità e l’incapacità (da parte nostra, non di chi lo sperimenta) di comprendere, sono da sempre i segni dell’incontro vero e personale con Dio.
Ed eccoci a parlare dell’adorazione come proskynesis: sottomissione, riconoscimento di Dio come nostra misura. Penetriamo in questa adorazione direttamente con le parole del “Missionario del SS. Sacramento”: «Considera: 1) Gesù obbediente nell’Incarnazione; 2) Gesù obbediente nella Natività; 3) Gesù obbediente nella vita nascosta; 4) Gesù obbediente qui soprattutto nel Getsemani; 5) Gesù obbediente sulla Croce; 6) Gesù obbediente nella morte; 7) Gesù obbediente nella Risurrezione; 8) Gesù obbediente nel SS. Sacramento.
Ciascuno di questi misteri d’obbedienza e d’amore del cuore di Gesù deve insegnarti ad obbedire alla volontà di Dio, alla Provvidenza di Dio, a qualsiasi superiore, a qualsiasi luogo, a qualsiasi dovere o fatica, a qualsiasi infermità e sofferenza interna ed esterna. O Bone Jesu, factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis et usque ad SS. Sacramentum; miserere mei et fac cor meum secundum cor tuum» (10 luglio 1963). E ancora: «La vita! La vita! È il gemito, il sospiro dell’uomo… ed io sospiro ardentemente la vita! Ebbene se voglio veramente vivere; se voglio pienamente vivere; se voglio eternamente vivere… e cioè l’albero della vita: la Croce e più che la Croce, il Crocifisso; Gesù! Gesù! Sei Tu, sei tu la Vita, la vita mia sei Tu, Gesù. Vedi, io muoio, mi consumo ogni giorno, deh! Fa che in me muoia sempre più ciò che è morte, (peccato e terra) e viva sempre più in me ciò che è vita, cioè Tu, mio Dio! Tu, Tu solo, o Vita Eterna, o Vita Vera, o Beatitudine, o sazietà, o appagamento d’ogni brama: Fac me tibi semper magis crèdere, in te semper habere, te dirigere» (1 luglio 1965).
Adorando Gesù obbediente al Padre, egli ha imparato nella sofferenza l’obbedienza ai suoi superiori interpretandola sempre come volontà di Dio per essere “con Gesù sulla Croce”.
Adorando il Corpo di Gesù sofferente sulla croce e nascosto nel Santissimo Sacramento, ha provato vergogna per i suoi peccati, ha compreso la necessità di “essere puro prima di tutto”, prima di “essere attaccato alla croce con gli stessi chiodi di Gesù”. Tutto adorando, sempre adorando. E le sue preghiere sono state esaudite, l’adorazione e il diffondere l’adorazione lo hanno portato veramente a tutto questo, ad essere «con Gesù sulla croce», «attaccato alla croce con gli stessi chiodi di Gesù»; è stato inchiodato alla croce del rifiuto da parte di molti, con i chiodi della maldicenza, della calunnia, del sospetto: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me (Gv 16,2-3)». Ma don Ruggero sapeva che passando per la Croce si giunge alla Risurrezione.

Angela Dilillo (luglio 2007)


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