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Una provincia che guarda al futuro senza dimenticare il proprio passato

La storia della provincia ofantina è testimonianza di un grande passato, proiettata su un futuro ricco di generose promesse, un futuro che ci appartiene, se sapremo affrancarci da autolesionistici atteggiamenti rissosi e rivendicativi.
Sintesi di terra e di mare, sovrastata dall’azzurro di un limpido cielo, è una provincia viva già nelle espressioni dei dialetti, nella fertilità delle sue campagne, nella religiosità dei suoi santi protettori, nelle sue folcloristiche tradizioni, nel suo artigianato antico. E il mare, la costa sabbiosa per il piacere solare dei bagnanti, le notti stellate quando i pescherecci al largo riempiono le stive di pescato adriatico, l’intenso odore salmastro che effondono le sporte di pesce al mercato mattutino.
La provincia non è solo storia e bellezze naturali, ma vivacità operativa, una fiorente economia, un commercio in via di espansione ricco di una moltitudine di esercizi e di una redditizia terziarità. Un’agricoltura che ancorché sofferente, per gli elevati costi produttivi e le inadeguate remuneratività, persevera nella caparbietà di una consolidata tradizione, quella di produrre dai suoi vigneti e dai suoi uliveti frutti genuini che hanno saputo conquistare significative fette di mercato.
Esperti artigiani rinnovano per le basolate stradine degli antichi borghi medievali lo scambio di vetuste attività che legano il passato al presente, al chiuso di botteghe annerite dalla fuliggine e impregnate degli odori di arcaici mestieri, ambulanti che col loro cadenzato vociare richiamano l’attenzione delle donne del borgo, o i funai che al margine di sbrecciati marciapiedi tirano le zoche dai verricelli o assorti pescatori intenti al rammendo delle loro reti.
E le industrie, né tante né poche, le alte ciminiere che espandono nel cielo l’emissione dei lori fumi, che si arruffano con le nuvole disperse dal vento di tramontana. E gli operai, da mane a sera intenti al loro monotono lavoro di routine accanto alla giostra circolare.
E poi il turismo, una ricchezza che ondate di vacanzieri in crescita valorizzano annualmente con ritmi crescenti, turismo culturale e cultura turistica, una moltitudine di iniziative e di opere che ogni città allestisce di suo, e che aggiornati tour operator sospingono alla ricerca di una comune identità territoriale.
Accanto a un turismo di qualità, la cultura religiosa, espressione delle manifestazioni sacre, come le processioni tradizionali legate alla devozione che ha la cadenza di riti ancestrali.

Dieci città, ciascuna coi suoi inconfondibili connotati storici, le sue bellezze artistiche, le sue risorse turistiche, le sue peculiari tradizioni ludiche e religiose, ciascuna coi suoi progetti, i suoi programmi, i suoi sogni.
Dieci città un territorio, che la nuova Provincia deve accomunare in un progetto unitario e sintonizzare su un’unica lunghezza d’onda, che non parte da zero, ma da alcune esperienze pluriennali come quella di Puglia Imperiale, con sede a Trani, ma innervata in ognuno degli altri nove centri.

Dieci comuni, un territorio al centro fra le provincie di Bari e Foggia, la cui area corrisponde a quella che anticamente i geografi chiamavano Peucetia, la terra dei Pedicoli. Terra fortunata alla quale non fanno difetto l’acqua che la bagna quanto basta e il sole al cui calore maturano i lunghi filari d’uva, i campi di grano ondeggianti al vento di giugno, i nodosi olivi secolari, i robusti mandorli la cui bianca fioritura annuncia l’arrivo della primavera, i multicoloriti frutteti: pesche, ciliegie, fioroni, susine, gelsi, meloni di ogni tipo, senza dire delle verdure, lungo gli antichi muretti a secco che segnano le nostre campagne, punteggiate da trulli muschiati d’antica fattura.
Una dirompente distesa di luce, lungo quaranta chilometri di coste baciate dal sole, nella continuità di una storia che viene di lontano, dalle caravelle in navigazione verso gli approdi del Mediterraneo, dai Crociati verso la Terra Santa, dalle leggende di cui sono ricche le nostre fantasiose origini, dalle barche intrise di salsedine rancide di cordami usurati dal tempo, avvolte nelle vele gonfiate dal vento di maestrale. E all’interno, castelli normanno-svevi, santuari consacrati al culto della Madonna, masserie fra declivi infracollinari, torri fortificate, dolmen, menhir, ipogei funerari, emergenze archeologiche.
E le tradizioni religiose, i dolenti riti del Venerdì santo, le reliquie esposte dei Santi protettori, le feste patronali, le processioni, i fuochi pirotecnici, le giostre, le bancarelle, le bande paesane, quel sapore di zucchero filato e il parapallo che ci riportano all’età dell’innocenza, a quand’eravamo ragazzini…
Dialetti così diversi, in città poco distanti fra di loro, retaggio di millenarie divisioni territoriali tra centri diversamente infeudati, sottomessi, levantini, sempre pronti alla contesa per l’orgoglio ferito della propria dignità d’antico lignaggio etnico…
Con la vocazione all’indipendenza l’una dall’altra, città gelose ciascuna della propria storia, delle proprie tradizioni, del proprio idioma, del proprio passato intriso di leggende, l’unica realtà territoriale italiana ramificata su tre capoluoghi, l’incapacità ad affrancarsi da ataviche gelosie e a riconoscere al vicino le sue qualità che insieme potrebbero crescere più speditamente; ma per questo ci vorrà tempo, mentre di tempo ce n’è poco e occorre raccordarsi in convergenti progettualità e fare sistema.
Fare sistema in numerosi campi a cominciare da quello socio-economico, per una comune consapevole valorizzazione di alcune fra le più ricche potenzialità della nostra economia sotto le più diverse angolazioni, a cominciare da quella turistico-culturale, così ricca di inespresse potenzialità, la più abbordabile in tempi ragionevoli perché già collaudata da tentativi parzialmente riusciti, che per una loro più completa fruizione avrebbero però bisogno di una più incisiva e programmata cooperazione, alieni da velleità campanilistiche perché controproducenti ed autolesionistiche.
Per il resto, per le numerose ulteriori opportunità di natura economica che potrebbero essere sfruttate dalla nuova provincia, dalle quali potrebbero poi dipendere le sorti del nostro comprensorio, per questo sarà necessario il concorso di numerosi fattori, alcuni estranei alla nostra volontà perché dipendenti delle congiunture territoriali regionali e nazionali; altri legati invece alla nostra consapevole determinazione, in cima ai quali la capacità di coordinamento e di spinta propulsiva del presidente Francesco Ventola, e non solo sua, ma anche quella di efficienti collaboratori capaci di realizzare, ciascuno nel proprio comparto, le finalità programmatiche concertate, finalizzate non solo alla produzione del PIL, per quanto importante sia il prodotto interno lordo, ma soprattutto alla qualità della vita e del benessere comune, in una parola, della vivibilità che nessun indice economico riuscirà mai a contabilizzare.

Renato Russo
(26 marzo 2012)

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