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Quella maledetta voglia di vincere, Il romanzo del giovane Pietro Mennea
 

Ecco la vita di Pietro tra sport, scuola e amici.
Il racconto dei primi venti anni a Barletta di un Mennea che già faceva parlare di sè

Domani, mercoledì 11 settembre, nel quadro delle iniziative per celebrare il “Mennea Day”, al Castello presentati due testi, due biografie, una di Renato Russo (editrice Rotas), e l’altra di Stefano Savella (Stilo Editore). Quella di Russo, in particolare, (208 pagine, 168 illustrazioni, 15 euro) si sofferma sulla storia dei primi vent’anni di Mennea vissuti a Barletta (1952-1972). Abbiamo chiesto all’autore il perché di questa scelta.

Perché è il tempo della sua presenza a Barletta (dopo il 1972, cioè dopo il bronzo di Monaco, si trasferirà a Formia), perché sono gli anni della sua maturazione, della formazione del suo carattere e poi sono gli anni meno noti perché di solito la sua vita agonistica i suoi biografi iniziano a raccontarla dai primi anni Settanta…

Perché “il romanzo” del giovane Mennea? è una storia romanzata la tua?
No, anzi, è invece attendibile perché l’ho ricostruita con grande scrupolo, in ogni dettaglio. Parlando di “romanzo” della sua vita mi riferisco alle modalità del racconto, cioè alla struttura del libro che ricostruisce narrativamente la sua figura e il suo tempo, ma anche al modo descrittivo della sua storia. Una storia che non è quella del cronista sportivo legato più ai numeri e ai risultati che alla vicenda della sua coreacea personalità, del suo acerbo temperamento, delle sue giovanili ambizioni. Credo che siano stati questi risvolti della sua caparbia determinazione a spingermi a raccontare il periodo della formazione del suo carattere, che sprigionerà presto gli impulsi di una volontà determinata al raggiungimento del successo, anche a costo di pagare un prezzo altissimo, quale la lontananza dalla sua città.

Forse anche perché questo periodo è il più avaro di notizie sulla storia del giovane Mennea…
Certo, anche per questo. Infatti quei pochi giornali sportivi che sfiorano appena gli inizi della sua carriera agonistica sono molto imprecisi, come quando collocano la sua prima vittoria nei campionati studenteschi nel ’67 (e invece risale al ’68), oppure quando attribuiscono agli studenteschi del ’68 il primato della 4x100 (ma quei campionati non contemplavano la staffetta perché erano gare a partecipazione individuale e cioè legate all’appartenenza all’Istituto scolastico mentre la staffetta era invece praticata dalle società iscritte alla FIDAL), o quando assegnano il record dei 44”1 agli studenteschi di Bari, mentre il risultato è conseguito a Roma, il 6 luglio del 1969 all’Acquacetosa, e così via.

Alla fine tanti ringraziamenti: “da tante piccole storie, la trama di un film”….
A parte i miei personali ricordi e gli incontri avuti con Pietro Mennea e la eccezionale documentazione che conservo sul nostro campione, l’incontro con tanti comuni amici e conoscenti, ha contribuito a creare una sorta di puzzle, per cercare di ricreare un’atmosfera per far rivivere quei giorni lontani….

C’è qualcuno che non hai fatto a tempo a coinvolgere in questa storia?
Si, perché sono arrivato in ritardo a interpellarli, come,  per esempio Antonella Piccolo campionessa regionale di corsa, o Mimmo Gambatesa fratello di Francesco, il quarto staffettista, lui pure eccellente velocista, e ancora Gioacchino Dagnello, Pino Pavone, Paolo Polvani tutti atleti avisini come Pino Lagrasta che - appena quattordicenne - partecipò a una gara di marcia arrivando terzo, sollecitato, durante l’intero percorso, da Pietro Mennea che - in bicicletta - sosteneva i giovani partecipanti avisini. Pagine bellissime, che meriterebbero un capitolo a parte.

Sapevamo che l’AVIS aveva avuto un ruolo importante negli esordi del giovanissimo Mennea, ma non immaginavamo fino a tal punto, come emerge dal tuo racconto.
Proprio così, l’AVIS fondata dal prof. Lattanzio aveva creato una grande organizzazione sportiva territoriale, finalizzata non solo al raggiungimento di risultati sportivi specialmente in campo atletico, ma anche alla formazione del carattere dei tanti giovani che correvano per i suoi colori che  si affermeranno a livello nazionale. Il giovane Pierino Mennea (aveva allora appena quattordici anni), venne invitato la prima volta a far parte della famiglia avisina nell’estate  del ’66 (quando s’era appena diplomato alle medie), da Angelo Marchisella, l’istruttore che portava i suoi ragazzi ad allenarsi sulla stradella che da via Cialdini scendeva verso Porta Marina; spesso lo incontrava in piazzetta Pescheria, mentre si allenava coi suoi compagni della “Juventus Nova”.

Quindi, a ottobre del ’66, l’iscrizione all’ITC “Cassandro”…
…dove fu scoperto e valorizzato dal prof. Alberto Autorino il quale, oltre a Mennea, allenava  un altro campioncino, Salvatore Pallamolla (compagno di Pierino fin dalla prima elementare, presso la “d’Azeglio”), dal quale, all’inizio, pare fosse sempre battuto, finchè un giorno… Da allora in poi le cose cambieranno.

Mennea all’inizio era fortissimo anche nella staffetta 4x100 che - in Puglia - diventò imbattibile nel quadriennio ’68-’71.
La staffetta però non gareggiava ai campionati studenteschi, che erano competizioni individuali, ma per i campionati assoluti, con la FIDAL, e quindi Mennea correva per  l’AVIS-AICS, dove non contava l’appartenenza scolastica ma solo quella alla società. Infatti della mitica staffetta 4x100, Mennea e Pallamolla venivano da Ragioneria, Acquafredda e Gambatesa dallo Scientifico (come la riserva De Fidio, campione regionale di salto in lungo). Del resto Barletta vantava una tradizione di tutto rispetto: nel ’55 i campionati li aveva vinti Matteo Bonadies per i Ragionieri (9”2), e nel 1960 Vito Lattanzio per il Classico (9 netti).

C’è diversità di pareri sul tempo del suo esordio. Mennea ha cominciato nel ’67 o nel ’68?
Iscritto all’ITC “Cassandro” nell’ottobre ’66, Pietro partecipò ai primi Campionati studenteschi nella primavera del ’67 ma arrivò ultimo, è confermato non solo da un’intervista da lui resa alla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 agosto del 1971, ma anche da un elenco autografo del prof. Autorino - datato ’67 - che lo pone in cima alla lista degli atleti dell’Istituto che avevano superato le selezioni. Bravo sì, ma sfortunato alla sua prima uscita; ma anziché demoralizzarlo, questa prima delusione lo spronò ad un maggiore impegno. Così sarà in seguito come quando - l’anno dopo - venne mortificato da Carlo Vittori che lo schernì affermando ch’era troppo mingherlino per correre, per cui lo invitò a mangiare più bistecche… e Pierino anziché demoralizzato dall’irridente giudizio, trasse stimoli per impegnarsi con maggiore determinazione.
 
Questa biografia è molto approfondita e anche la stessa introduzione al volume tradisce una certa tua dimestichezza con Pietro in quegli anni…
Dimestichezza no, ma conoscenza, sia pure indiretta di quegli anni, certamente si, perché si riferisce al periodo iniziale del suo impegno avisino (quando più intensa era la sua frequentazione presso la sede dell’AVIS in via Baccarini). A quel tempo, già presidente per anni del gruppo fucino avisino, ero redattore del periodico “Sangue e Vita”, ma nonostante le pressioni del prof. Lattanzio, anzichè di sport, io scrivevo pezzi di carattere socio-culturale, così della cronaca sportiva finiva coll’occuparsene solo il professore che si limitava a siglare le sue “brevi” di cronaca sportiva. E a proposito, per la cronaca, la prima segnalazione di Mennea su “Sangue e Vita” (e in assoluto su un locale organo di stampa), reca la data di agosto 1968 e si riferisce all’esito del meeting di Molfetta dove Pietro vinse gli  80 metri  in 9”3, i 300 in 38”7 e la staffetta in 44”3, tempi sbalorditivi, per quell’esordio.

E in realtà nel libro c’è restata qualche attestazione di questa comune vostra collaborazione all’AVIS. A quale annata ci riferiamo?
Ci riferiamo al 1968, quando, dopo un anno di intensi allenamenti  fra scuola di mattina col prof. Autorino e Gruppo Avis il pomeriggio col prof. Mascolo, Mennea mise a punto una eccellente preparazione. Vinse così i Campionati provinciali studenteschi di Bari (aprile) poi quelli interregionali di Matera (giugno). Quindi, dopo la vittoria ad Ascoli Piceno dove conobbe Carlo Vittori, altre due straordinarie vittorie: in ottobre a Bari (campione nazionale allievi AICS) e a Termoli (Trofeo Pavesi, organizzato dal “Corriere dello Sport”), quando in mondovisione assistette alla vittoria olimpica di Tommy Smith a Città del Messico (dopo undici anni avrebbe battuto quel record e in quello stesso stadio!).

Perché queste pur importanti vittorie risalgono all’autunno del ’68 mentre “Sangue e Vita” le riporta solo nel marzo-aprile dell’anno successivo, cioè cinque mesi dopo?
Lo stesso ritardo in verità registrato dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”. In fondo, per quanto brillanti, erano pur sempre risultati di un campione regionale. Per questo pure Michele Cristallo aspettò cinque mesi (anche lui l’aprile del ’69), prima di dedicare un servizio al giovane promettente campione avisino. Solo “Il Periscopio”, il bollettino dell’ITC “Cassandro”, riporterà in prima pagina “un’ultim’ora” per segnalare la sua vittoria ai Campionati nazionali di Pisa, uno strepitoso 10”8 sugli 80 metri,  firmato Pasquale Cascella. Nel numero di marzo ’68 Luigi La rovere su “Sangue e Vita” occupò tutto lo spazio dello sport per una dettagliata cronaca sulla scuderia automobilistica. Nulla sull’atletica. Quindi si aspettò aprile: e anche qui il giovane Mennea dovè sacrificarsi, confinato in una foto a fondo pagina che lo ritraeva vincitore sugli 80 metri, a Bari, ai campionati nazionali AICS, nobilitati dall’eccellente tempo di 9 netti (aveva eguagliato il record regionale del suo presidente Ruggero Lattanzio, che lo aveva stabilito nella primavera del 1928!).

Dopo la vostra compresenza sul bollettino “Sangue e Vita”, certificata anche da qualche pagina del libro, l’incontro col “Fieramosca”…
Ma prima ancora, col “Buon Senso” (il giornale della DC che dirigevo), quando gli mandai Pasquale Lattanzio alla stazione per intervistarlo di ritorno dalla vittoriosa gara dei 200 metri di Torino (2 giugno ‘71) e poi i due pezzi di Nino Vinella, uno  nell’immininenza delle Olimpiadi di Monaco (9 luglio ‘72), e l’altro dopo il clamoroso 3° posto (articolo del 1° ottobre ’72). Frattanto anche il nostro giornale concorrente, “La voce di Barletta”, organo di stampa del PCI cittadino,  aveva dedicato al giovane talento pugliese della velocità un articolo firmato.... Pasquale Cascella .
Quindi una (quasi) quarantennale collaborazione col “Fieramosca”, sia pure a fasi alterne…
Si, a corrente alternata a partire dalla primavera del 1974 fino ai nostri giorni. Quando il 5 settembre di quell’anno gli dedicammo una simpatica caricatura di Giovanni Vinella, lui ci mandò una foto autografata. Non sarebbe stata l’unica perché negli anni gli avremmo dedicato numerosi articoli, anche sui libri di storia che abbiamo scritto (come nel volume “Il Novecento”). Qualche  volta gli articoli ce li mandava lui e noi talvolta gli abbiamo dedicato qualche copertina. Ne ricorderò un paio.
Quando, nel marzo dell’81, annunciò il suo primo ritiro, gli dedicammo una copertina nella quale il presidente Sandro Pertini lo precettava a continuare. Un’altra gliela dedicammo quando nel febbraio del 1996, facemmo un sondaggio sulla popolarità dei barlettani più illustri e con nostra sorpresa, anche se aveva perso ormai i contatti con la sua città, risultò largamente il più suffragato, precedendo il sindaco dell’epoca, il pur ben voluto Raffaele Fiore.

Forse contribuì l’esito di questi sondaggi popolari a farlo scendere nell’agone politico?
Può darsi, ma negli appuntamenti che contano non fu molto suffragato dagli elettori barlettani, specialmente cocenti furono le sconfitte nelle politiche per il Senato (12-13 maggio 2001), nelle amministrative che lo opposero a Francesco Salerno (25-26 maggio 2002) e quelle per la riconferma al Parlamento Europeo (19-20 giugno 2004). Questa sconfitta in particolare lo amareggiò profondamente e per molti anni fu buio profondo nei rapporti con la sua città. E fu in quella circostanza che rilasciò alla stampa locale l’ultima polemicissima intervista che noi non pubblicammo (che ho però conservato in bozza) che pubblicò invece la Gazzetta con un fondo firmato da Piero Lisi.

Tu nel libro trascrivi una lettera con la quale Mennea ti invitava all’inaugurazione della Biblioteca dedicata a suo padre Salvatore.
In quel periodo lo incontrai più volte, come editore (stampammo per lui un programma elettorale), come autore (gli feci dono di numerosi libri) e anche come direttore del “Fieramosca” (un articolo sulla nascita della Biblioteca, lo firmò anche Giuseppe Dimiccoli).

Ritornando ai primi tempi del suo impegno agonistico, quali erano i rapporti con l’Amministrazione comunale e con le Istituzioni in generale?
Apparentemente buoni, ma i primi apprezzamenti arrivarono con almeno… due anni di ritardo (e fu forse questo l’inizio del suo malumore verso la sua città e i suoi esponenti politici con i quali non avrebbe mai legato). Il primo riconoscimento pubblico venne infatti a Pietro nel corso della cerimonia inaugurativa del nuovo stadio comunale (18 ottobre ’70), esattamente due anni dopo che era diventato campione nazionale allievi della velocità. In quella circostanza venne menzionato dal sindaco Domenico Borraccino per aver vinto i recenti campionati italiani Juniores (tre mesi prima il 21 luglio). Ma non ebbe neanche il piacere di essere gratificato da solo perché il suo nome fu fatto accanto a quello del marciatore Cosimo Puttilli, dell’arbitro Pasquale Gialluisi e del titolare della palestra Massari. Così sarà anche negli anni successivi, specialmente quelli delle scelte di fondo quando Pietro ricorderà tante belle parole, molte promesse, qualche diploma e una medaglia. Lui era orgoglioso e non se ne lamentava, ma è facilmente immaginabile l’amarezza che covava nel cuore. E un pizzico di risentimento.

Mennea, dopo la sua grande stagione sportiva durata vent’anni (1968-1988) non si allontanò dal mondo dell’atletica, ma anzi continuò a documentarsi sui problemi e a frequentarne i vertici della Federazione di Atletica, di cui fu anzi a un passo dal diventarne dirigente nazionale. Cosa gli è mancato per raggiungere anche questi traguardi?
Certo, Mennea aveva le carte in regola per aspirare a questo incarico: aveva infatti le idee molto chiare sulle principali problematiche del settore e una vasta preparazione specialmente nel campo dell’antidoping, come dimostrano i numerosi scritti che chi ha lasciato. Avrebbe benissimo potuto diventare presidente federale alla maniera di Michel Platini, tanto per intenderci, dopo una splendida carriera e dotato di un indiscutibile carisma. A frenarne le pur legittime aspirazioni, il suo carattere netto, categorico, esplicito. A Mennea mancava insomma la duttilità e la flessibilità per rivestire il suo ruolo mentre, interpellato sulle più complesse dispute sportive della nostra atletica, era… esageratamente sincero.

Mennea ha scritto oltre venti libri… qual è il suo più bel libro che non ha scritto?
Secondo me due testi: il primo dedicato ai ragazzi, un’antologia dei suoi scritti rivolti ai più giovani quando, con accenti appassionati, li invita a praticare dello sport come completamento della formazione del loro carattere. E il secondo, proprio il racconto della sua infanzia, del suo tempo adolescenziale, le prime sgambate nel borgo antico, sul litorale di Ponente, le prime gare sul vialetto della scuola, le corse serali estive con le auto, le prime competizioni sportive ai Campionati studenteschi baresi, i primi approcci coi compagni avisini. Di quel tempo Pietro ci ha lasciato pochi cenni e alcuni frammenti, alcuni ricordi di ragazzo sparsi qua e là nelle sue rare note autobiografiche rivolte ai giovani per i quali la sua vita sarà sempre di stimolo e di esempio, soprattutto oggi che non c’è più.


Renato Russo
(10 settembre 2013)

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