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Barletta “Civitas Mariae”

Il Culto per la Madonna dello Sterpeto fra mito, storia e devozione

Nella seconda metà del XII secolo, fra il 1150 e il 1200, mentre i Normanni edificavano la prima cinta urbica della città e il turrito bastione (il baluardo attorno al quale si sarebbe formato il castello), il territorio di Barulum - come si chiamava Barletta nel Medioevo - si presentava come un grande operoso cantiere dove erano in via di completamento i lavori di costruzione di Santa Maria Maggiore, Santo Sepolcro e San Giacomo, le prime tre chiese attorno alle quali si inurbarono i primi tre pittagi, i primordiali quartieri che - fra mito e storia - sono all’origine della civitas barolitana.
E inoltre, poiché quelli erano gli anni delle prime Crociate, a cura dei numerosi ordini cavallereschi e monastici che stazionavano nella nostra città in attesa di partire per la Terrasanta, in gran numero sorsero chiese e monasteri, distrutti dall’usura del tempo e dalle guerre: S. Samuele dei Premostratesi, S. Giovanni dei Cavalieri di Gerusalemme, S. Leonardo dei Templari, S. Maria Maddalena, S. Maria di Nazareth, S. Lazzaro, S. Tommaso e S. Maria dei Teutonici.
Negli stessi anni in cui questo grande fervore devozionale manifestava la sua fede attraverso la costruzione di solenni basiliche, a pochi chilometri da Barletta, sulla via per Trani, ad opera di un gruppo di modesti conventuali cenobitici, veniva eretta una piccola chiesa, il rifacimento di un tempietto basiliano ancora più antico dedicato al culto della icona di una Madonna che quei primi anacoreti nascosero in una grotta, secondo una credenza popolare, per preservarla dalla persecuzione iconoclasta dell’imperatore Leone III, detto l’Isaurico. Una Madonna che, dalla selvatichezza agreste del luogo - stirpibus refertus - da tempo immemorabile era chiamata dello Sterpeto. Secondo la tradizione col passare del tempo, da secoli se ne sarebbe perso il ricordo.
Invero di chiese dedicate alla Madonna, nel Medioevo, a Barletta ce n’erano tante. Ne abbiamo contate venticinque, di cui sono giunte sino a noi soltanto sei. Eppure, se la più influente fu S. Maria Maggiore, la titolare della Cattedrale, centro non solo religioso ma anche punto di convergenza del movimento politico e amministrativo della città, ben presto - nello spirito evangelico - la più devozionata divenne la piccola, modesta chiesetta rurale della Madonna dello Sterpeto, soprattutto da quando, attorno alla metà del XVII secolo, riaffiorò dalle nebbie di un tempo remotissimo, ad opera di contadini del posto, la Sacra Icona che venne fatta oggetto di una diffusa venerazione. Ed un motivo c’è. Mentre infatti, con la edificazione della Cattedrale, era stato innalzato un tempio alla Vergine Assunta, la cui saldezza dommatica era nella ortodossia della liturgia assunzionistica, la grande popolarità di cui ha sempre goduto la Madonna dello Sterpeto nel cuore dei Barlettani, fin dai tempi più remoti, è dovuta alla sua accessibilità, alla sua familiarità. La Madonna dello Sterpeto, infatti, al contrario delle altre Madonne, verso le quali vi è una più riservata devozione, è invece familiarmente considerata una di casa, una della famiglia, una parente prossima alla quale rivolgersi con affettuosa semplicità nei momenti di più stringente bisogno.
Come altro spiegare, diversamente, che sia l’immagine sacra più presente nelle nostre case? Come altro spiegare la consolidata tradizione popolare di andarla a prendere sulla via per Trani la sera del primo maggio, per accompagnarla in Cattedrale e poi riportarla, alle prime luci del primo giugno, a casa sua, nel suo Santuario? Come altro spiegare la straordinaria partecipazione di popolo al passaggio della Santa Patrona durante la tradizionale processione di metà luglio e il gran numero di ex voto raccolti nel suo eremo agreste?
Ed è proprio facendosi interprete di questo sentimento diffuso e genuino, spontaneo e autentico, che nel lontano 1732 la Curia pontificia romana intervenne presso l’arcivescovo di Trani affinché assecondasse il sentimento popolare orientato spontaneamente verso una profonda devozione per la Madonna dello Sterpeto, facendola assurgere, quell’anno stesso, a Patrona della città. Certo è sempre la stessa Madonna che si venera sia allo Sterpeto che in Cattedrale, come nelle altre chiese cittadine, ma “se l’immagine sacra - per dirla col Besson - rappresenta per i suoi devoti la mediazione corporea e distinguibile di un sentimento religioso profondo e radicato”, quella verso la bruna icona bizantina, esprime una diffusa, amorevole irresistibile devozione, ma una devozione che sarà, ancora pochi anni or sono (nel 2009) ribadita solennemente in occasione della dedicazione alla Vergine Maria, della città proclamata “Civitas Mariae”.
E questa coralità di gioiosa e devota affezione verso la Madonna dello Sterpeto spiega perché, fin dai tempi più antichi, nei momenti più tragici, durante un terremoto o una guerra, un’epidemia o una carestia, il pensiero non di uno, dieci o cento devoti, ma di un’intera città, si volga spontaneo e fiducioso verso questa devozione che ancor oggi, al di là delle differenze economiche o partitiche, sociali o ideologiche, riesce a tenere unito un popolo, per altro verso da tempi lontanissimi conosciuto più per le sue divisioni che per le sue indulgenti tolleranze.

*   *   *

Questa è la storia di un’antica piccolissima chiesa di campagna che, ai margini di una città, è cresciuta con essa da un tempo così lontano, che se ne perdono le tracce agli albori di un’aurora remotissima.
Questa è la storia della lenta crescita di un eremo rurale e periferico, che dall’arida polverosa sterpaglia che anticamente gli ha assegnato il proprio nome, è assurto nel tempo prima a santuario della civiltà contadina, in tempi più recenti a baricentro della moderna imprenditorialità industriale, attraverso la plurisecolare costanza di una devozione popolare che pur nel variare dei tempi e in mezzo a mille traversie, non ha mai trovato pause o affievolimenti.
Questa è la storia di un piccolo tempio, ma è soprattutto la storia di una grande devozione, quella di un popolo che, sia pure nello smarrimento dei difficili tempi che viviamo, resta ancora uno dei pochi tabernacoli dell’anima in grado di preservare sentimenti religiosi che vanno oltre il mero fenomeno devozionale, per affidare alle future generazioni la salvaguardia di quei valori di generoso altruismo e di umana solidarietà che oggi appaiono irrimediabilmente compromessi.

sito cenobitico

Il piccolo villaggio cenobitico in “stirpibus refertus”
processione

La Madonna in processione per le vie della città in mezzo ai suoi Sacerdoti, seguita da una strabocchevole folla
Santuario

Panoramica del Santuario (fotorudy)
vecchio Santuario

Il vecchio Santuario intravisto - dietro le sbarre - dall’ingresso sul viale che lo collega alla statale Adriatica (coll. Capasso)


La Sacra Icona della Madonna restaurata dal maestro Cosimo Cilli (fotorudy)
vecchio e nuovo santuario

In primo piano il vecchio, sullo sfondo il nuovo Santuario della Madonna dello Sterpeto. Sulla sinistra i due archi di accesso al Monastero

Renato Russo
(31 maggio 2017)

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