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SALVATORE GIANNELLA INTERVISTA FEDERICO II
Per la serie “Le interviste impossibili”, il noto giornalista casalino, già direttore di “Oggi”
e di “AIRONE”, ricevuto dall’imperatore a masseria “Castello”, nella foresta di Salpi, fra Barletta e Manfredonia. Riportiamo la bella introduzione e le prime domande, fatte per il mensile “DE VINS” (gennaio 2009), al quale rimandiamo per la lettura completa del servizio giornalistico

Puglia 1241, alba di una giornata d’autunno. Siamo nel cuore del Tavoliere, la più grande pianura della penisola italica. Federico II di Svevia, una delle figure più affascinanti e prestigiose del Medioevo, è arrivato qui da alcune settimane, reduce da un’estate canicolare trascorsa in una villa di Tivoli in attesa di cogliere il momento propizio per dare il colpo di grazia al suo irriducibile nemico, Gregorio IX che invece, quasi centenario, gli ha giocato l’estremo tiro, paradossale e grottesco allo stesso tempo. Morendo, infatti, ha neutralizzato qualsiasi iniziativa dell’imperatore che sa di non poter infierire su una città in lutto per la morte del suo pontefice. Per questo il 47enne sovrano se ne è tornato in Puglia, negli ultimi anni il sempre più sicuro ricovero delle sue giornate amareggiate e stanche. Ha scelto, per un periodo di riposo, la masseria Castello, un gioiello architettonico nella foresta di Salpi, sulla costa adriatica tra Manfredonia e Barletta, ricoperta di selve tra le più fitte del Meridione e impreziosita da antiche saline. In questo luogo di piacere l’imperatore ha affidato a due collaboratori del luogo, Nicola de Calcochuro e Matteo De Rosa, il compito di catturare i falconi nei nidi o con le reti, di allenare e addestrare i falchi alla caccia e di tenere in ordine la masseria. Gli ultimi animali arrivati sono due nuovi girifalchi d’Islanda avuti in dono dal re d’Inghilterra. È così soddisfatto del lavoro dei castellani che ha consegnato loro una pergamena con l’annuncio di un premio di produzione: a ognuno affida uno scudiero e due cavalli e la paga sarà aumentata a un’oncia e 15 tarì l’anno.
Nelle prime ore del mattino Federico ha fatto un bagno caldo tonificante seguito dall’abile massaggio del fido cameriere saraceno Abdullah. Ha indossato il mantello color porpora foderato di pelliccia e, fatto sellare il suo cavallo preferito, Dragone, il baio purosangue che il gran maestro Giordano Ruffo ha scelto per lui nella scuderia imperiale. Nicola, il primo falconiere, s’avvicina al sovrano per fargli indossare il pesante guanto di cuoio su cui il secondo falconiere, Matteo, poggia rapido il falco imperiale che si avvinghia alla presa con i suoi artigli adunchi e affilati. Un cappuccetto di pelle rossa, finemente ricamato con un labirintico intreccio di fili d’oro, ricopre la testa del rapace. Si parte, seguiti dalla fedele scorta. Destinazione Castel del Monte, edificio maestoso in via di completamento: il sovrano lo ha voluto in cima a una collina della vicina Murgia e l’architetto Riccardo da Lentini lo sta portando a termine con qualche difficoltà. I cavalli avanzano in un mare di vigneti e di grappoli d’uva.

È con grande emozione che ho ricevuto il suo messaggio dal suo corriere. Grazie, maestà, per aver accettato di darmi questa intervista e per avermi concesso di vivere una giornata con lei, condividendo questa passeggiata a cavallo e anche il successivo pasto.
Intanto, in quale lingua vuole che si svolga il nostro colloquio? In italiano, in latino, in germanico, in greco, in saraceno o in dialetto pugliese? Sa, la mia passione per ogni luogo amato mi ha portato a conoscere la lingua di ognuna delle terre ove soggiorno. Per la Puglia poi, ho preso una vera e propria cotta.

Lo so, non a caso le è molto caro l’appellativo di “puer Apuliae” che le è stato affibbiato dalla gente comune fin da quando, ragazzo, attraversò l’Italia per andare in Germania e tentare la conquista di quella terra.
Confesso che a me piace essere considerato non già come l’uomo venuto dalle Marche (essendo nativo di Iesi) e neppure dalla Sicilia (dove passai la mia infanzia) e neanche dalla Germania, come lascia intendere il nome della mia casata (degli Hohenstaufen), ma come figlio di Puglia. E se la Puglia è la regione ch’io ho più cara, c’è una terra in Puglia ch’io prediligo su ogni altra, ed è la Capitanata, la città di Foggia e l’immenso Tavoliere, che sono il punto di riferimento dei miei ritorni autunnali e dei miei ozi creativi. Mi creda, se il Signore avesse conosciuto questa pianura, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui.

Sarebbe bello usare per la nostra intervista il dialetto pugliese, che è anche la mia lingua d’origine. Ma per una migliore comprensione dei nostri lettori preferisco l’italiano.
E sia. Però le premetto che questo colloquio dovrà avere principalmente per argomento il “De arte venandi cum avibus”.

Il suo libro sulla caccia con i falconi?
Sì, proprio quello. Ho impiegato molti anni per scriverlo. Ma lei l’ha letto?

Certo, maestà. Ho anche favorito la ripubblicazione in un’edizione di lusso. Spero che non se ne abbia se le ho modificato il titolo: L’universo degli uccelli, l’ho chiamato. Sa, l’editore Giorgio Mondadori mi ha assicurato che avrebbe venduto di più. Ed effettivamente così è stato. È andato esaurito. Pensi che molte copie sono state richieste anche da naturalisti e bibliofili dalla Germania.
Non mi sorprende, lassù c’è ancora tanta gente che mi vuole bene. Dunque le dicevo che voglio parlare agli italiani di questo libro perché l’ultima volta che ho concesso un’intervista alla Rai italiana mi hanno tagliato proprio su questo tema che mi stava a cuore. Ancora mi rimbomba nelle orecchie il brutale richiamo finale, in dialetto romano, del tecnico radiofonico al giornalista, il pur bravo Andrea Camilleri: “Aho, e che famo? Dotto’, io chiudo”.

Un primo tuono interrompe il sovrano. Superati i vigneti, si arriva al bosco dell’Ofantino: Federico zittisce tutti, in un silenzio irreale lascia andare il falco, dopo avergli tolto il cappuccio. L’uccello, con rapida corsa, ghermisce saldamente sul dorso uno splendido fagiano, trascinandolo a terra con una brusca virata. Un servo raccoglie la preda. Ma un’improvvisa pioggia, seguita da fulmini, induce a modificare il programma di marcia. Si punta al galoppo verso la foce dell’Ofanto e da lì verso il vicino castello di Barletta da dove anni prima Federico era partito per la sesta crociata. Lì ci sarà tempo per una serata ristoratrice, alla presenza di un invitato d’eccezione, lo scrittore-storico del posto, Renato Russo, privilegiato biografo al quale l’imperatore ha riservato il racconto dettagliato della sua vita. L’intervista riprende a tavola, un blocco di granito bruno del Gargano lungo circa quattro metri, sorretto da quattro pilastri tozzi, nella Sala rossa del castello svevo, illuminata dalla intensa luce di cento candelabri. Berardo, il cuoco di fiducia dai tempi della Crociata, ha preparato un menù tipico della cucina federiciana. I piatti vengono serviti da flessuose inservienti orientali in sottovesti colorate di seta appena trasparente, dall’aria maliziosa.

(febbraio 2009)

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