Il combattimento di 13 Italiani
con 13 Francesi a Quarata*
Dall’Alpi nevose sull’appulo piano
la dove nell’Adria si specchia il Gargano,
un nembo di strani guerrieri piombò.
Di genti nemiche già il suolo è gremito,
e l’oste superba sul placido lito
un’orma d’oltraggio, di sangue stampò.
Il tristo lamento del popolo inulto
ritorna confuso dal barbaro insulto,
che il fato de’ vinti nomato ha viltà.
Discordi non vili ci rese fortuna,
che a tante sciagure pel campo ci aduna
nel campo che duce, che meta, non ha.
Ma caldo di speme riarde nel petto.
All’opre de’ forti di patria l’affetto
e un lampo balena d’antica Virtù.
Un lampo di gloria che ai nostri sorride
in nobile agone per bella disfida,
cui l’italo ardire mai tardo non fu.
Son tredici i prodi, di tredici a fronte
han l’animo invitto, le destre hanno pronte,
anelan l’oltraggio col sangue lavar.
O figli d’Italia, la lancia correte,
le spade brandite, pugnate vincete:
all’onta mentace risponda l’acciar.
Del sacro delubro gli altari abbracciate
pel Dio che protegge gli oppressi, giurate
di vincer da forti, da forti morir,
ché tardano ancora que’ franchi guerrieri?
Il campo divorano gli arditi corsieri:
già squillan le trombe, comincia il ferir.
Magnanimo Ettorre che guidi a vittoria
la schiera più eletta, più vaga di gloria
del forte tuo braccio qual altro è l’egual?
Per te delle giovani sol palpita il core,
in te dell’Italia s’affida l’onore.
E un serto ti appresta di lauro immortal.
Il divo furore degli animi invade
spezzato ha le lance, spezzato le spade
di sangue e sudori l’arena bagnò.
Seguite il cimento dell’ardua tenzone
in sin che il nemico non torni prigione
e compri il riscatto che baldo sdegnò.
Ma muoia imprecato, qual muore codardo,
che il vanto difese d’estraneo stendardo
nè piano il consoli, nè voce d’amor.
Vinceste! s’innalza già il plauso fremente,
al vostro reddire s’allegra ogni gente,
ma un tristo pensiero s’abbuia nel cor.
Che vale il tripudio d’un lauro sudato,
il sangue che giova dai prodi versato
se stato migliore non lice sperar?
Per serve contrade divise le schiere,
più duce non hanno, non hanno bandiere,
son vani i trionfi d’un vano pugnar.
*
Dal “Corriere di Barletta” del 30 aprile 1893
Dal sig. Benedetto Paolillo, studioso cultore delle patrie memorie, riceviamo
con piacere il seguente componimento poetico ch’egli ha rinvenuto
in antichi manoscritti e che riguarda una gloriosa pagina della nostra
storia cittadina.
Ci dispiace soltanto non esservi indicato l’autore, ma la cronaca dice
di essere di uno scrittore napoletano.
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