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La biografia dI Renato Russo su Giuseppe De Nittis
PROFILO DI UN ARTISTA E DEL SUO TEMPO

Nel contesto di una progressiva valorizzazione di Giuseppe De Nittis, rilanciato in questi ultimi anni da una serie di mostre di elevato prestigio nazionale e internazionale, che gli hanno assegnato una più seducente visibilità, si vanno ad inquadrare alcuni avvenimenti di indubbio rilievo, come la sistemazione della Pinacoteca a lui intestata nell’imponente palazzo della Marra, il clamore massmediatico suscitato dall’acquisto di un quadro battuto all’asta di Christie’s in predicato per entrare a far parte della rinomata quadreria, nonché una ritrovata vena letteraria su di lui mirata, saggi, studi e ricerche, fra cui degna di rilievo a me pare questa biografia di Renato Russo.
Di Giuseppe De Nittis s’era parlato poco almeno fino a quarant’anni fa, quando Barletta aveva cominciato a puntare le sue carte più sulla Disfida, su Massimo D’Azeglio e su Ettore Fieramosca, che fungevano da testimonial internazionali insieme al castello svevo e al gigante Eraclio. Poi il risveglio, con la scoperta di un concittadino che cresceva di statura agli occhi del mondo, quel De Nittis che seppure vissuto per la maggior parte della vita a Parigi con incursioni nel mondo londinese e in quello napoletano, mai aveva dimenticato la sua città d’origine. La morte repentina e drammatica, nel fulgore dei suoi anni più creativi, ne aveva spento la vita al culmine della sua fama.
Quanto aveva penato, il nostro impressionista - i suoi quadri ormai dimenticati tra semibui scantinati e polverosi ripostigli - prima di emergere in estemporanee apparizioni. Poi, improvvisa e inaspettata, la donazione di Léontine, un legato testamentario che ha atteso quasi un secolo, prima di trovare la sua dignitosa definitiva collocazione in un prestigioso palazzo seicentesco, delusione stemperata dalla scomparsa della generosa donatrice che, se fosse tornata in vita, avrebbe probabilmente ritrattato la donazione fatta alla città del marito.
Ho detto che si tratta di un libro utilissimo proprio perché rientra nella serie di opere che Renato Russo, con una sorta di spirito di servizio per la nostra terra, sta producendo per promuovere l’immagine di Barletta e della Puglia. E non solo. Perché fra i suoi interessi spiccano la battaglia di Canne ricostruita attraverso una approfondita ricognizione storica, e la poliedrica figura dell’imperatore Federico II di Svevia, sul quale ha pubblicato utili cronache della vita ed altri volumi analitici e circostanziati che uniscono al rigore della ricerca la piacevolezza della scrittura.
Ultimamente le biografie di due protagonisti del nostro Ottocento pugliese e meridionale hanno interrotto la saga sveva. La prima su Valdemaro Vecchi, il principale fondatore dell’editoria pugliese moderna, del quale ha voluto celebrare i primi cento anni dalla scomparsa. Per uno strano gioco del destino, proprio Vecchi era stato, intorno al 1870, primo editore del “Fieramosca”, periodico che Russo ha ripreso e rilanciato a distanza di un secolo e che, nel corso di questi sette lustri di vita del giornale, tanti articoli e copertine ha destinato al grande artista barlettano, al quale ha dedicato la sua seconda biografia. De Nittis, dunque.
Libro scritto per una occasione celebrativa - l’apertura della Pinacoteca De Nittis - l’autore coglie l’occasione per andare oltre la vita dell’artista e tracciare ulteriori percorsi indagativi: la storia di Palazzo della Marra, le tribolate vicissitudini del legato testamentario in una analitica ricerca cronologica, l’inventario dei quadri donati e così via; una puntigliosa ricostruzione di fatti, antefatti e retroscena, com’è nel suo stile e nel suo carattere.
Investigazioni utili e interessanti, certo, ma quel che resta più impresso, alla fine, è il penetrante profilo biografico dell’artista barlettano del quale, da intelligente divulgatore e cronista del passato qual è, Russo ricostruisce passo passo la vita, contestualizzandola con i tempi creativi delle sue opere e stabilendo collegamenti fra queste e i fatti del suo tempo.
L’infanzia e il periodo giovanile trascorsi a Barletta e poi l’apprendistato a Napoli, città che considererà una seconda patria, soprattutto per la metodologia  dello studio dal vero che aveva imparato dai veristi napoletani. Dipingere en plain air rubando al mondo l’impressione del momento, la qualità della luce e i colori che si creavano a seconda dell’intensità e della posizione del sole. La terra campana è riccamente presente nella pittura di don Peppino, il Vesuvio e le sue intemperanze, la costiera amalfitana, la fascia subvesuviana e la bellezza delle donne napoletane.
Poi la partenza per Parigi, dove approdò nel 1868, a ventiquattro anni. Le difficoltà iniziali, l’amore per Léontine, gli amici francesi, il rapporto con i macchiaioli fiorentini - Adriano Cecioni e Telemaco Signorini su tutti - le redditizie escursioni londinesi, i rientri a Napoli, lo strepitoso successo al Grand Prix di Parigi del ‘78 e l’accoglienza trionfale a Barletta l’anno dopo.
Colpisce, nella vita di De Nittis, la frequentazione dell’élite culturale parigina col mondo dei narratori francesi, quella commistione tra inchiostro e colori ormai desueta nel nostro tempo. Russo è attento a porla in risalto, stigmatizzando ogni artista con un aggettivo appropriato: l’arguto Manet, il compassato De Goncourt, il caustico Zola, l’estroso Dumas figlio, l’introverso Degas, il timido Daudet, l’informatissimo Claretie, il mordace e beffardo Oscar Wilde.
Mi piace questa prosa asciutta e cronachistica dell’autore, consapevole di quanto poco tempo abbiano ormai i lettori, di come siano oggi pronti a farsi distrarre da più effimere attrattive. Così il compito che si è assegnato è quello di raccontare la vita di De Nittis per filo e per segno, ma in maniera accattivante, come se spiegasse alla gente comune chi è e qual è la statura del pittore. So che il suo primo desiderio è quello di entrare nelle scuole per avvicinare un pubblico giovanissimo di lettori. Probabilmente anche questo. Ma, aldilà delle sue circoscritte intenzioni, questo libro è diretto anche ai turisti che sono di passaggio, come ai comuni lettori ancora ignari di questo genio artistico nato proprio a Barletta. Un genio che avrà pure trascorso la maggior parte della sua vita in Francia, ma che quando è tornato nella sua città natale non ha disdegnato di dipingere le masserie barlettane o le saline di Margherita, le sponde dell’Ofanto o la strada che da Barletta porta a Brindisi.
Al lettore alla fine rimane l’immagine di un grande artista schiantato a trentotto anni, en pleine jeunesse, en pleine amour, en pleine gloire, per dirla con Dumas figlio. E il pensiero va ad altri grandi che come lui hanno bruciato i migliori anni della loro vita, nel pieno della loro maturità artistica. Così poco tempo vissuto, per tanta intensità creativa. Una vera beffa del destino.
Quello che colpisce, in questa breve ma intensa biografia dell’artista barlettano, rispetto ad altre anche più corpose, a parte la semplificazione del linguaggio, è il tentativo di andare oltre la pedissequa descrizione biografica del personaggio, per cercare di delinearne i risvolti umani negli intensi stati d’animo che ne segneranno la breve esistenza, cercando di penetrarne i tratti caratteriali più reconditi, la sua personalità più vera e profonda.

Raffaele Nigro (dicembre 2007)

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