QUANDO LA STORIA È NARRAZIONE
Annibale, un viaggio sospeso fra storia e leggenda
In mancanza di registrazione, trascrizione dagli appunti presi da Renato Russo della
conversazione di Paolo Rumiz nella Sala Rossa del Castello - domenica 29 gennaio - dedicata
ai ragazzi del Liceo Classico “Casardi”, che avrebbero gradito serbarne memoria
La mostra “Annibale, un viaggio” (Castello di Barletta 2 agosto
2016 - 5 febbraio 2017), come è
stato più volte spiegato, anche nella
introduzione al catalogo, è stata
liberamente ispirata al noto libro
di Paolo Rumiz che reca lo stesso
titolo (Feltrinelli 2008). Questo testo,
unitamente a quello di Giovanni
Brizzi sulla battaglia di Canne (Il
Mulino 2016), presentato a Barletta
nella stessa sala il 2 agosto 2016,
hanno ancora una volta attualizzato
un grande interesse intorno al
generale barcide e al celebre fatto
d’armi, la disfatta di Canne, “la
Stalingrado dell’Antichità”, come,
con suggestiva similitudine, la definì Raffaele Iorio che di questo sito
fu profondo studioso.
Della storia esistono due chiavi
di lettura, entrambe necessarie e
supplementari, una alla maniera di
Tucidite rigorosamente storiografica;
e l’altra alla maniera di Omero,
che attiene al suo risvolto immaginifico
o - per dirla con Brizzi - al
suo “sostrato immateriale”, senza
del quale la storia è arida, sterile ricostruzione.
Il libro di Paolo Rumiz,
questa sua conversazione su Annibale,
appartiene a questo secondo
genere di lettura, cioè la storia
come narrazione. Tucidite accanto
ad Omero, non antagonisti ma
complementari. |
Questo libro è nato perché nel
2006 il quotidiano “La
Repubblica” mi ha mandato
come inviato speciale
sugli Appennini,
un viaggio estenuante,
durante il quale mi ha
perseguitato l’ombra del
leggendario condottiero
punico: Passo di Annibale,
Ponte di Annibale, Palio
di Unniballo (leggi Annibale),
personaggio non
solo storico, ma mitico, di quelli che
ti restano impressi nella memoria per
sempre… Così ho capito che, tra una
scoperta e l’altra, non ero io a cercare
Annibale, ma era Annibale che cercava
me: il mitico passaggio delle Alpi,
le ripetute vittorie sui Romani, l’occupazione
dei primi comuni federati con
Roma, l’attraversamento degli Appennini…
È nata così, nella mia mente, la
sfida di raccontare Annibale e il suo
viaggio… Mi è stato subito chiaro che
non dovevo scrivere un libro di storia,
un’ennesima biografia, ma raccontare
una leggenda, un mito, il “suo” mito.
E così un bel giorno, con un gruppo di
amici appassionati come me di reportage giornalistici, ci siamo portati sulle Alpi,
su uno dei passi per il quale si dice che
Annibale abbia fatto attraversare la sua
armata; ne avrebbe perso un terzo proprio
durante questa drammatica traversata
in mezzo agli agguati dei Celti…
Il passaggio per il Colle del Clapier
non è lontano dalla Val di Susa, la valle
della protesta dei NO TAV. Maggio
2007, tre ore a piedi sulla neve (sono
già passati dieci anni e non ce ne siamo
accorti). Siamo saliti in sei dalla Val di
Susa, arrancando per i ghiacciai sulla
neve fresca fino a quota 2471…
Perché - mi sono
chiesto - è citato tante
volte il nome di Annibale,
in Val di Susa, e
non quello di Napoleone,
che pure l’attraversò,
o di Carlo Magno o
del grande Giulio Cesare
che passò il Moncenisio
per combattere
i Galli? Perché proprio
Annibale?
E quando finalmente
siano arrivati in vetta,
al passo c’era solo una piccola targa
in bronzo tra i licheni con l’indicazione
del “probabile passaggio di Annibale
nel 218 a.C.”. Dopo una faticosa arrampicata,
in vetta, ci siamo guardati
intorno delusi. Dopo gli ardori della
vigilia, la nostra euforia era svanita,
perché non abbiamo trovato alcun segno
del suo passaggio. E del resto - ci
siamo detti - numerosi passi alpini si
contendono il prestigio del suo transito,
difficile che sia proprio questo!!
Eravamo ancora perplessi e silenziosi,
quando l’amico Albano mi ha chiesto
Le storie di Polibio, e dopo aver trovato
il passo della traversata ha cominciato
a leggere - sopra uno spuntone di
roccia - quel libro venuto da un tempo
così remoto.
Poiché era ormai vicino il tramonto
delle Pleiadi, vedendo che le truppe erano
scoraggiate a causa dei disagi sofferti e di
quelli che ancora li attendevano, Annibale
tentò di rianimarli e come pretesto gli offriva
la vista dell’Italia…
Ora non era più l’amico Albano,
che parlava, ma direttamente Polibio
che raccontava:… Sentiamo i comandi,
le grida, i nitriti dei cavalli… tutto come
duemila anni fa.
Uno dei compagni di viaggio, per
vincere la delusione, se n’esce con una delle sue: “Forse a noi basta credere che la
traversata sia avvenuta - esclama! - Se ci
crediamo, capiremo, e la nostra salita avrà un senso”. La proposta piace a tutti:è davvero la chiave di questa nostra rischiosa
escursione. Che il Nostro sia
passato davvero di qui ha ormai poca
importanza: i viaggi in fondo sono fatti
per confermare i miti, non per demolirli.
Era stato sufficiente leggere quelle
parole, in quel gelido vento, fra quelle
maestose montagne innevate, al
cospetto di ventitrè secoli di storia,
che ci siamo sentiti come avvolti dalla
magia di quel mitico racconto, e che
c’importa - ci siamo detti - di ritrovare
l’esatto punto di quel passaggio, tra i
tre valichi controversi, mentre la lettura
di quella rievocazione ci indicava la
giusta strada da percorrere, alla ricerca
del mitico Annibale.
Frattanto un plotone di alpini risaliva
la strada verso di noi, e quando ci
hanno raggiunto, abbiamo letto anche
a loro lo stesso testo di Polibio, cogliendo
nei loro sguardi stupiti la sorpresa
di una emozione inaspettata.
Albano ha ripreso la lettura “…
Mentre ormai la neve si accumulava sulle
cime dei monti, poiché si avvicinava il
tramonto delle Pleiadi, egli, vedendo gli
uomini sfiniti dalle fatiche precedenti e per
quelle che ancora prevedevano, li radunò e cercò di incoraggiarli con l’unico mezzo
che aveva a tale scopo, la vista dell’Italia,
che era infatti ai piedi di quelle montagne… Così, mostrando la Pianura Padana,
ridiede loro un po’ di coraggio”. I giovani
alpini ascoltavano come suggestionati,
galvanizzati dal racconto di un fatto
accaduto oltre duemila anni prima.
Ecco, questa è la vera storia,
un racconto capace
di suscitare emozioni
Dopo una lunga pietraia, il pendio
si addolcisce e i nostri scarponi affondano
in un tappeto di muschio smeraldo,
e proprio allora il cielo si squarcia
davanti a noi svelando l’abisso della
Val di Susa punteggiata di fortezze.
Chissà se Annibale - mi chiedo - avrà mostrato
l’Italia proprio di qui. Ecco - mi son
detto - questa è la vera storia, un racconto
capace di suscitare emozioni.
Quando siamo scesi a valle, tra
rocce, dirupi e ghiacciai, all’ingresso
di una locanda, sbiadito dal tempo,
l’inconfondibile disegno di un elefante,
a confermarci che quelli erano i
luoghi del suo passaggio, del passaggio
dell’armata del Barcide e dei suoi
elefanti, dei suoi carriaggi e delle sue
salmerie.
Poi, scendendo sulla pianura, a
Susa, non lontano dal presidio dei
NO TAV, i partigiani dell’ostracismo
all’apertura dell’autostrada per Lione,
hanno esposto un grande striscione
consunto dalle intemperie, che recita:
ANNIBALE C’È PASSATO, LA TAV
NON PASSERÀ!…
Ecco - mi son detto
ancora - cosa significa la leggenda, un racconto
antico che rivive nella nostra quotidianità…
Quella sera, a Susa, mi si è aperto
un nuovo mondo, uno scenario diverso
da quello della lettura tradizionale.
Rientrato in albergo, ho aperto GOOGLE
alla voce “Annibale” per riviverne
la vita… E scorrendo quelle pagine
ho capito che non dovevo affidarmi
solo agli aridi studi tradizionali, per
svelarne la storia, ma leggere i testi antichi,
ripercorrendone gli itinerari, partendo
da Cartaghena per rifare il viaggio
fino alle Alpi e di qui oltre… Certo,
sarebbe stato più semplice riscrivere la
biografia del grande punico in un libro,
ma ripercorrerne il cammino, sulle
sue orme, sarebbe stata tutt’altra cosa!
Più andavo avanti e più la fantasia
accendeva la mia curiosità e la mia volontà di saperne di più, un film lontano
dalla modesta realtà delle cose banali
che ci affliggono quotidianamente.
Com’era cominciata la sua storia? E
com’era finita? Certo, suicida, questo
lo sappiamo tutti. Ma come, quando,
dove, in quali circostanze, mosso da
quale demone interiore che lo rodeva…
Alla ricerca della sua fisionomia
umana e militare, del suo carattere, del
suo carisma presso il suo esercito, fra
i suoi soldati, fra i quali la sera si addormentava,
su un comune giaciglio…
Alla ricerca del suo itinerario, inseguendo
un sogno.
Prima tappa, la Sardegna. È importante
cominciare da qui, il primo torto
di Roma a Cartagine, portargliela via,
l’inizio del grande gioco fra le due potenze
del Mediterraneo per la supremazia
sul mare.
Di qui in aereo sulla costa africana,
destinazione Cartagine (Tunisia) e
dopo un largo giro sulla città, intravederla
fra le nuvole. A terra, cominciare
fra i ruderi della città antica, fondata
da Didone, solo con i millenni di un
mito. Acropoli, colle di Birsa, qui i Romani,
dopo aver raso al suolo Cartagine,
ne costruirono una più grande e
quella città divenne, con Alessandria e
Antiochia, una delle più belle dell’Impero.
Ma nonostante tutto, restano le
tracce dell’incendio distruttivo del 146
comandato da Scipione l’Emiliano…
Dalla Tunisia, in volo verso la
Spagna, per raggiungere Cartaghena
(Carthago Nova), il campo base dove
il piccolo Annibale - giurando eterno
odio a Roma - diventò un uomo e da
dove, qualche anno dopo, preparerà la
marcia verso le Alpi. Si respira già un
sottile profumo di leggenda.
In viaggio con Annibale
È il 218 a.C., il dado è tratto. Annibale
s’appresta ad invadere l’Italia,
all’improbabile conquista di Roma. Io
pure mi metto in viaggio con lui, risalendo
il suo itinerario. Il passato diventa
presente e il mio viaggio si sincronizza
con quello del Cartaginese. Il
Barcide è in marcia con 90 mila uomini,
12 mila cavalli e 40 elefanti. Mi chiedo
che volto avesse Annibale; in una
moneta è senza barba. Del suo volto si
sa pochissimo. Esiste solo un busto al
Museo di Napoli (oggi al Quirinale) riprodotto
su tutti i libri di scuola.
Risalgo a Nord in direzione di Andorra,
poi taglio su Berga, quindi Ripoll,
grosso centro sotto i Pirenei. Sento l’odore
dei bivacchi, vedo i fuochi di legna
resinosa che sparano scintille verso le
stelle. Fra le ombre dell’accampamento,
c’è anche lui, ha solo 26 anni. Sul colle
di Arès non ci passa nessuno, solo una
moto ogni tanto. Dopo i Prati di Mollo,
la bassagola del Tech… il Rodano, dove
Annibale traghettò i suoi elefanti, una
scena raccontata magistralmente da Polibio.
Dal Rodano al Po, attraversando le
Alpi dove, almeno venti passi alpini
vantano il suo passaggio. Che fare? A
chi chiedere? Rileggo Polibio, ma non
mi aiuta molto, almeno per il momento.
Lo metto da parte e ora viaggio più leggero per la douce France. Dopo Serres
l’armata si distende e pascola per
praterie, ruscelli, cicale. Forse un’allucinazione.
Rileggo Livio, libro XXI,
paragrafo 35… “Giunto a un’altura dalla
quale lo sguardo spaziava in lungo e in largo,
ordinò ai soldati di fermarsi e indicò, ai
piedi della catena alpina, l’Italia”. Siamo
all’attraversamento delle Alpi, già, ma
da quale valico? Un mistero che ventitrè secoli non hanno svelato.
E ancora il libro XXI, capoverso del
paragrafo 37… E chi ci dice che anche
Annibale, come Federico Barbarossa,
non abbia attraversato le Alpi da quattro
valichi alpini, per poi ritrovarsi a
fondovalle, sull’ubertosa pianura di
Piemonte…
A Bologna incontro Gianni Brizzi.
Lui - dice l’usciere dell’Università che
mi indica la porta del suo ufficio - non
si occupa di Annibale, “è” Annibale.
Insomma decidiamo di proseguire il
viaggio per l’Appennino, almeno fino
a Canne, dove fu consumata una strage
immane.
… La Flaminia, l’Emilia, la Cassia,
l’Appia che taglia l’Appennino su
Brindisi. Il professore è euforico, per
questa trasferta inedita, libero dai vincoli
dell’Accademia. Sul Trasimeno,
poi la Trebbia, il viaggio per l’Appenino,
l’Abruzzo, il Volturno, i saccheggi
della Campania terra di agguati…,
l’assedio di Capua, la battaglia di Canosa,
la presa di Taranto, Arpi, Herdonea,
il paesaggio pugliese… Siamo alla
vigilia della battaglia di Canne.
Vento e praterie. Lontano l’Ofanto
che scintilla e la striscia sottile del
mare davanti al Gargano. Non vedo
che questo, mentre risaliamo a piedi
la vecchia ferrovia Barletta-Canosa-
Minervino. Canne della Battaglia va
raggiunta così, lontano dalle grandi
strade, col sole di mezza estate allo
zenit nella controra, quando l’ombra è pesante, i fantasmi escono a mezzanotte
e i trapassati si arrampicano per
le radici delle fave. Caldo tremendo,
come quel 2 agosto del 216 a.C. quando
Annibale distrusse otto legioni.
Canne evocativa.
Quindi Siracusa, che richiama alla
memoria il nome del grande Archimede,
il genio del teorema, dei dischi
ustori e delle macchine da guerra…
Marcello, quando seppe che un soldato
romano l’aveva ucciso, si addolorò.
E dopo Siracusa, verso la Lucania e
la Calabria, ultime roccaforti del Cartaginese
per raccontare la fine della sua
epopea italiana… A Capo Colonna,
presso Crotone, sulle rovine del tempio
di Hera Lacinia, Annibale fece incidere
le sue gesta su una stele di bronzo
che Polibio avrebbe fatto in tempo
a leggere prima della distruzione. Da
Crotone, l’addio all’Italia, in viaggio
per Cartagine, all’epilogo della seconda
guerra che porterà per sempre il
suo nome: “La seconda campagna annibalica”.
Il mio viaggio continua in Tunisia,
alla ricerca di Zama, dell’ultimo scontro
con Roma. A Zama, Scipione copiò da Annibale la manovra avvolgente,
con la quale tredici anni prima aveva
distrutto l’armata romana.
Vent’anni dopo Zama: l’esilio
Sembra che il viaggio finisca qui, il
suo e il mio. Di solito le sue biografie
concedono poco spazio al tempo che
gli resterà da vivere. Ma non è così. A
Zama Annibale aveva 46 anni, morirà a 66 anni, quindi gli resteranno ancora
vent’anni da vivere, e non sono pochi.
A Cartagine, da nemico giurato
dell’Italia, diventa il miglior garante
della pax romana. Sorveglia il pagamento
dei danni di guerra e riesce
anche a risanare le finanze della città.
Attacca i privilegi dei ricchi, ne denuncia
gli abusi, scopre malversazioni.
Così facendo si mette però in urto
con la classe dirigente, che comincia a
complottare contro di lui. Patria ingrata:
un’ambasceria è mandata a Roma,
dall’ex nemico, e Roma pretende che
il vincitore di Canne sia tolto di mezzo.
Ma lui fiuta il pericolo, salta su una
nave e scappa fino a Tiro, l’attuale Libano.
Non ha pace nemmeno lì. Si trasferisce
a Efeso e incontra Antioco, re di
Siria. Gli dà consigli strategici, torna
in Libano - l’antica Fenicia - e gli procura
una flotta. I Romani si inquietano,
temono che il nemico risorga dalle
ceneri, e ne richiedono la consegna.
Spiegano che mai sarà pace sicura per
i Romani finché Annibale vivrà. Così lui è costretto a scappare e rifugiarsi a
Creta.
È il 189. Sono passati 13 anni da
Zama e Annibale è approdato sul porto
di Lesena. La storia scivola nella
mitologia. Chi sa se a Creta, all’ombra
mostruosa del Minotauro, il nostro
non abbia avuto il tempo di ripensare
a quel sogno, riavvolgendo il filo di
Arianna della propria vita. Roma, intanto,
sotto i suoi occhi, nel Mediterraneo
continua la sua irresistibile ascesa.
Ma non si sente sicuro neppure a
Creta, dove temendo di essere derubato
del suo tesoro, riparte per la Siria
e la Turchia, dirigendosi in Armenia.
Difficile spiegarne i motivi. Per me il
viaggio è più agevole, perché lo faccio
in aereo. Alle porte dell’Asia, è già Armenia, e ci arrivo con un volo da
Monaco, perché lì c’era stato lui pure,
su quelle montagne, per fondarvi una
città, Artaxata (Jerevan) sotto le nevi
dell’Ararat, dove sbarcò Noè [il monte è nel territorio turco - appena oltre il
confine - mentre il paese si è fuso con
l’URSS].
L’aereo decolla nella pioggia sopra
piccole luci azzurre, poi emerge come
l’Arca su un mare di nubi illuminate
dalla luna. Sotto di noi, passano lenti
i Balcani, il Bosforo, l’Anatolia: ma
quanta strada ha fatto Annibale? Di
Annibale in fuga ho scarse notizie, salvo
che compare qua e là come un lampo
nel buio.
Arriviamo alle tre di notte, albeggia
appena. Quando la brina si dirada, la
montagna emerge immensa, immateriale,
su un materasso di vapori. L’Ararat
per gli armeni è un Dio immenso come
il Sinai per gli Ebrei. Annibale propose
al re Artassa - che accettò la proposta - di
edificare una città, che avrebbe assunto
lo stesso nome del re, così fu proclamata
capitale dell’Armenia.
Cosa cercava Annibale fra queste
montagne? Forse niente di diverso da
ciò che lo spinse a sfidare la morte in
battaglia: l’immortalità della memoria.
Ci inerpichiamo su per la montagna,
lasciamo la strada
principale e deviamo per
una gola nascosta dove
intravediamo un pastore
col suo gregge. Offre agli
ospiti pane, formaggio e
vino rosso in una brocca
di terracotta, forse ha il
sapore della prima vendemmia
di Noè. Il pastore
mi chiede perché sono
venuto. Gli rispondo che
sto cercando un uomo
chiamato Annibale, passato
da queste parti duemila
anni fa.
Ah! Annibale - risponde il pastore
- quello che ha fatto il grande giuramento
contro Roma! Nel mentre si avvicinano
i figli, la moglie, altri pastori. Resto
di stucco! Un pastore che conosce
Annibale in mezzo al Caucaso! Lui mi
guarda come per dire: ora devi dirmi
tutta la storia! Mi accorgo che attorno
al fuoco s’è fatto silenzio e sono tutti in
attesa. E io racconto la storia di Annibale
partendo dalla fuga di Cartagine,
il passaggio del Rodano, l’attraversamento
delle Alpi e gli elefanti. S’è come creata una situazione omerica,
come quando Ulisse racconta la sua
storia ai Feaci, mentre io la racconto
attraverso Zarian, la mia guida e il mio
interprete.
“Ma poi, raggiunse il suo scopo?”,
chiese alla fine del racconto il pastore.
“Sì, gli rispondo, se siamo ancora qui,
dopo ventitrè secoli, a parlare di lui, perché Annibale il suo scopo lo raggiunse perché credeva nell’immortalità della memoria.È come se la sua ombra oggi fosse scesa fra di
noi per bere lo stesso vino”.
Ma il viaggio di Annibale continua
in Bitinia dove è accolto dal re Prusia
col quale s’accorda di fondare una seconda
città; anche questa prenderà il
nome del sovrano, si chiamerà Prusa,
prima capitale dell’impero ottomano.
Il viaggio cerca il suo capolinea in
un’alba color rame che bagna i monti
del Tauro.
La storia finisce qui, nel 183 a.C.,
vent’anni dopo la partenza di Annibale
dall’Italia. Annibale s’è costruito
un rifugio a Libyssa, sulle sponde del
mar di Marmara, non lontano da Bisanzio,
ma i Romani non lo lasciano
in pace nemmeno lì. Un’ambasciata
guidata da Tito Quinzio Flamininoè andata dal re Prusia per reclamare la
testa dell’illustre ospite, e il re accetta
per avere l’appoggio di Roma contro il
regno confinante di Pergamo; e allora
Annibale, vistosi perduto, dopo aver
imprecato contro la vita, beve il veleno.
Aveva 66 anni.
È finito il mio viaggio nel tempo, il
più lungo e complicato che abbia fatto
finora. Dall’Atlantico all’Ararat, rivedo
un film pieno di facce antiche, sospeso
fra storia e leggenda.
La storia, questa storia, non sta solo
nei libri, ma soprattutto nella capacità di raccontarla, magari di raccontarla in
gruppo. E allora mi sovviene di quando
- parlando dell’autore dell’Iliade e
dell’Odissea - s’adombra il sospetto
che a far rivivere quegli epici racconti
non sia stato un solo cantore, il mitico
Omero, ma con lui altri aedi.
Un lungo viaggio alla scoperta di
Annibale per scoprire poi solo ciò che
gli storici biasimano: atmosfere, voci,
leggende, sogni, visioni… Ma cosa, se
non il sogno, ci spinge a viaggiare?
Ecco, questo è il senso finale del mio
viaggio per ricordare Annibale, il senso
della mia esperienza, che stasera voglio
trasmettere a voi… Vanno bene le biografie
del grande condottiero punico,
va bene una meticolosa ricostruzione
della sua vicenda umana e militare, ma
ciò che conta più di ogni altra cosa, è la
nostra intima, emotiva partecipazione a
questa storia, e - a nostra volta - la capacità di raccontarla ad altri… Io credo
che nessuno ha lasciato in Italia tante
mitiche orme, quante ce ne ha lasciate
Annibale nella sua epopea italica…
Mi sia consentita una riflessione finale:
ci troviamo di fronte ad un grande
condottiero e a una grande battaglia
a poca distanza dai luoghi in cui questo
famoso scontro avvenne…
L’auspicio, ragazzi, dopo la lettura
del mio libro e dopo aver visionato la
mostra, è che la vostra abilità narrativa
sia quella di trasformare questi luoghi
e questo evento in una grande risorsa
storica, culturale, ma anche turistica.
Paolo Rumiz
(marzo 2017)
<< vai all'indice del canale
|