PORTALE DI INFORMAZIONE E ATTUALITA' SU BARLETTA E DINTORNI
home | abbonamenti | archivio il Fieramosca | lettere al direttore | redazione | contatti

Cerca nel sito
Canne 216 a.C. La più grande battaglia dell'antichità
La Battaglia di Canne
Canne della Battaglia tra storia e archeologia VI millennio a.C. - 1294 d.C.
La Cittadella di Canne dalla preistoria al medioevo
Guida alla cittadella di Canne della Battaglia
 


QUANDO LA STORIA È NARRAZIONE

Annibale, un viaggio sospeso fra storia e leggenda

In mancanza di registrazione, trascrizione dagli appunti presi da Renato Russo della conversazione di Paolo Rumiz nella Sala Rossa del Castello - domenica 29 gennaio - dedicata ai ragazzi del Liceo Classico “Casardi”, che avrebbero gradito serbarne memoria

La mostra “Annibale, un viaggio” (Castello di Barletta 2 agosto 2016 - 5 febbraio 2017), come è
stato più volte spiegato, anche nella introduzione al catalogo, è stata liberamente ispirata al noto libro di Paolo Rumiz che reca lo stesso titolo (Feltrinelli 2008). Questo testo, unitamente a quello di Giovanni Brizzi sulla battaglia di Canne (Il Mulino 2016), presentato a Barletta nella stessa sala il 2 agosto 2016, hanno ancora una volta attualizzato un grande interesse intorno al generale barcide e al celebre fatto d’armi, la disfatta di Canne, “la Stalingrado dell’Antichità”, come, con suggestiva similitudine, la definì Raffaele Iorio che di questo sito fu profondo studioso.
Della storia esistono due chiavi di lettura, entrambe necessarie e supplementari, una alla maniera di Tucidite rigorosamente storiografica; e l’altra alla maniera di Omero, che attiene al suo risvolto immaginifico o - per dirla con Brizzi - al suo “sostrato immateriale”, senza del quale la storia è arida, sterile ricostruzione.
Il libro di Paolo Rumiz, questa sua conversazione su Annibale, appartiene a questo secondo genere di lettura, cioè la storia come narrazione. Tucidite accanto ad Omero, non antagonisti ma complementari.

Questo libro è nato perché nel 2006 il quotidiano “La Repubblica” mi ha mandato come inviato speciale sugli Appennini, un viaggio estenuante, durante il quale mi ha perseguitato l’ombra del leggendario condottiero punico: Passo di Annibale, Ponte di Annibale, Palio di Unniballo (leggi Annibale), personaggio non solo storico, ma mitico, di quelli che ti restano impressi nella memoria per sempre… Così ho capito che, tra una scoperta e l’altra, non ero io a cercare Annibale, ma era Annibale che cercava me: il mitico passaggio delle Alpi, le ripetute vittorie sui Romani, l’occupazione dei primi comuni federati con Roma, l’attraversamento degli Appennini…
È nata così, nella mia mente, la sfida di raccontare Annibale e il suo viaggio… Mi è stato subito chiaro che non dovevo scrivere un libro di storia, un’ennesima biografia, ma raccontare una leggenda, un mito, il “suo” mito.
E così un bel giorno, con un gruppo di amici appassionati come me di reportage giornalistici, ci siamo portati sulle Alpi, su uno dei passi per il quale si dice che Annibale abbia fatto attraversare la sua armata; ne avrebbe perso un terzo proprio durante questa drammatica traversata in mezzo agli agguati dei Celti…
Il passaggio per il Colle del Clapier non è lontano dalla Val di Susa, la valle della protesta dei NO TAV. Maggio 2007, tre ore a piedi sulla neve (sono già passati dieci anni e non ce ne siamo accorti). Siamo saliti in sei dalla Val di Susa, arrancando per i ghiacciai sulla neve fresca fino a quota 2471…
Perché - mi sono chiesto - è citato tante volte il nome di Annibale, in Val di Susa, e non quello di Napoleone, che pure l’attraversò, o di Carlo Magno o del grande Giulio Cesare che passò il Moncenisio per combattere i Galli? Perché proprio Annibale?
E quando finalmente siano arrivati in vetta, al passo c’era solo una piccola targa in bronzo tra i licheni con l’indicazione del “probabile passaggio di Annibale nel 218 a.C.”. Dopo una faticosa arrampicata, in vetta, ci siamo guardati intorno delusi. Dopo gli ardori della vigilia, la nostra euforia era svanita, perché non abbiamo trovato alcun segno del suo passaggio. E del resto - ci siamo detti - numerosi passi alpini si contendono il prestigio del suo transito, difficile che sia proprio questo!!
Eravamo ancora perplessi e silenziosi, quando l’amico Albano mi ha chiesto Le storie di Polibio, e dopo aver trovato il passo della traversata ha cominciato a leggere - sopra uno spuntone di roccia - quel libro venuto da un tempo così remoto.
Poiché era ormai vicino il tramonto delle Pleiadi, vedendo che le truppe erano scoraggiate a causa dei disagi sofferti e di quelli che ancora li attendevano, Annibale tentò di rianimarli e come pretesto gli offriva la vista dell’Italia…
Ora non era più l’amico Albano, che parlava, ma direttamente Polibio che raccontava:… Sentiamo i comandi, le grida, i nitriti dei cavalli… tutto come duemila anni fa.
Uno dei compagni di viaggio, per vincere la delusione, se n’esce con una
delle sue: “Forse a noi basta credere che la traversata sia avvenuta - esclama! - Se ci crediamo, capiremo, e la nostra salita avrà un senso”. La proposta piace a tutti:è davvero la chiave di questa nostra rischiosa escursione. Che il Nostro sia passato davvero di qui ha ormai poca importanza: i viaggi in fondo sono fatti per confermare i miti, non per demolirli.
Era stato sufficiente leggere quelle parole, in quel gelido vento, fra quelle maestose montagne innevate, al cospetto di ventitrè secoli di storia, che ci siamo sentiti come avvolti dalla magia di quel mitico racconto, e che
c’importa - ci siamo detti - di ritrovare l’esatto punto di quel passaggio, tra i tre valichi controversi, mentre la lettura di quella rievocazione ci indicava la giusta strada da percorrere, alla ricerca del mitico Annibale.
Frattanto un plotone di alpini risaliva la strada verso di noi, e quando ci hanno raggiunto, abbiamo letto anche a loro lo stesso testo di Polibio, cogliendo nei loro sguardi stupiti la sorpresa di una emozione inaspettata.
Albano ha ripreso la lettura “…
Mentre ormai la neve si accumulava sulle cime dei monti, poiché si avvicinava il tramonto delle Pleiadi, egli, vedendo gli uomini sfiniti dalle fatiche precedenti e per quelle che ancora prevedevano, li radunò e cercò di incoraggiarli con l’unico mezzo che aveva a tale scopo, la vista dell’Italia, che era infatti ai piedi di quelle montagne… Così, mostrando la Pianura Padana, ridiede loro un po’ di coraggio”. I giovani alpini ascoltavano come suggestionati, galvanizzati dal racconto di un fatto accaduto oltre duemila anni prima.

Ecco, questa è la vera storia, un racconto capace di suscitare emozioni

Dopo una lunga pietraia, il pendio si addolcisce e i nostri scarponi affondano in un tappeto di muschio smeraldo, e proprio allora il cielo si squarcia davanti a noi svelando l’abisso della Val di Susa punteggiata di fortezze.
Chissà se Annibale - mi chiedo - avrà mostrato l’Italia proprio di qui. Ecco - mi son detto - questa è la vera storia, un racconto capace di suscitare emozioni.
Quando siamo scesi a valle, tra rocce, dirupi e ghiacciai, all’ingresso di una locanda, sbiadito dal tempo, l’inconfondibile disegno di un elefante, a confermarci che quelli erano i luoghi del suo passaggio, del passaggio dell’armata del Barcide e dei suoi elefanti, dei suoi carriaggi e delle sue salmerie.
Poi, scendendo sulla pianura, a Susa, non lontano dal presidio dei NO TAV, i partigiani dell’ostracismo all’apertura dell’autostrada per Lione, hanno esposto un grande striscione consunto dalle intemperie, che recita:

ANNIBALE C’È PASSATO, LA TAV NON PASSERÀ!…


Ecco - mi son detto ancora - cosa significa la leggenda, un racconto antico che rivive nella nostra quotidianità…
Quella sera, a Susa, mi si è aperto un nuovo mondo, uno scenario diverso da quello della lettura tradizionale.
Rientrato in albergo, ho aperto GOOGLE alla voce “Annibale” per riviverne la vita… E scorrendo quelle pagine ho capito che non dovevo affidarmi solo agli aridi studi tradizionali, per svelarne la storia, ma leggere i testi antichi, ripercorrendone gli itinerari, partendo da Cartaghena per rifare il viaggio fino alle Alpi e di qui oltre… Certo, sarebbe stato più semplice riscrivere la biografia del grande punico in un libro, ma ripercorrerne il cammino, sulle sue orme, sarebbe stata tutt’altra cosa!
Più andavo avanti e più la fantasia accendeva la mia curiosità e la mia volontà di saperne di più, un film lontano dalla modesta realtà delle cose banali che ci affliggono quotidianamente.
Com’era cominciata la sua storia? E com’era finita? Certo, suicida, questo lo sappiamo tutti. Ma come, quando, dove, in quali circostanze, mosso da quale demone interiore che lo rodeva…
Alla ricerca della sua fisionomia umana e militare, del suo carattere, del suo carisma presso il suo esercito, fra i suoi soldati, fra i quali la sera si addormentava, su un comune giaciglio…
Alla ricerca del suo itinerario, inseguendo un sogno.
Prima tappa, la Sardegna. È importante cominciare da qui, il primo torto di Roma a Cartagine, portargliela via,
l’inizio del grande gioco fra le due potenze del Mediterraneo per la supremazia sul mare.
Di qui in aereo sulla costa africana, destinazione Cartagine (Tunisia) e dopo un largo giro sulla città, intravederla fra le nuvole. A terra, cominciare fra i ruderi della città antica, fondata da Didone, solo con i millenni di un mito. Acropoli, colle di Birsa, qui i Romani, dopo aver raso al suolo Cartagine, ne costruirono una più grande e quella città divenne, con Alessandria e Antiochia, una delle più belle dell’Impero.
Ma nonostante tutto, restano le tracce dell’incendio distruttivo del 146 comandato da Scipione l’Emiliano…
Dalla Tunisia, in volo verso la Spagna, per raggiungere Cartaghena (Carthago Nova), il campo base dove il piccolo Annibale - giurando eterno odio a Roma - diventò un uomo e da dove, qualche anno dopo, preparerà la marcia verso le Alpi. Si respira già un sottile profumo di leggenda.

In viaggio con Annibale
È il 218 a.C., il dado è tratto. Annibale s’appresta ad invadere l’Italia, all’improbabile conquista di Roma. Io pure mi metto in viaggio con lui, risalendo il suo itinerario. Il passato diventa presente e il mio viaggio si sincronizza con quello del Cartaginese. Il Barcide è in marcia con 90 mila uomini, 12 mila cavalli e 40 elefanti. Mi chiedo che volto avesse Annibale; in una moneta è senza barba. Del suo volto si sa pochissimo. Esiste solo un busto al Museo di Napoli (oggi al Quirinale) riprodotto su tutti i libri di scuola.
Risalgo a Nord in direzione di Andorra, poi taglio su Berga, quindi Ripoll, grosso centro sotto i Pirenei. Sento l’odore dei bivacchi, vedo i fuochi di legna resinosa che sparano scintille verso le stelle. Fra le ombre dell’accampamento, c’è anche lui, ha solo 26 anni. Sul colle di Arès non ci passa nessuno, solo una moto ogni tanto. Dopo i Prati di Mollo,

la bassagola del Tech… il Rodano, dove Annibale traghettò i suoi elefanti, una scena raccontata magistralmente da Polibio.
Dal Rodano al Po, attraversando le Alpi dove, almeno venti passi alpini vantano il suo passaggio. Che fare? A
chi chiedere? Rileggo Polibio, ma non mi aiuta molto, almeno per il momento.
Lo metto da parte e ora viaggio più leggero per la douce France. Dopo Serres l’armata si distende e pascola per praterie, ruscelli, cicale. Forse un’allucinazione.
Rileggo Livio, libro XXI, paragrafo 35… “Giunto a un’altura dalla quale lo sguardo spaziava in lungo e in largo, ordinò ai soldati di fermarsi e indicò, ai piedi della catena alpina, l’Italia”. Siamo all’attraversamento delle Alpi, già, ma da quale valico? Un mistero che ventitrè secoli non hanno svelato.
E ancora il libro XXI, capoverso del paragrafo 37… E chi ci dice che anche Annibale, come Federico Barbarossa, non abbia attraversato le Alpi da quattro valichi alpini, per poi ritrovarsi a fondovalle, sull’ubertosa pianura di Piemonte…
A Bologna incontro Gianni Brizzi.
Lui - dice l’usciere dell’Università che mi indica la porta del suo ufficio - non si occupa di Annibale, “è” Annibale.
Insomma decidiamo di proseguire il viaggio per l’Appennino, almeno fino a Canne, dove fu consumata una strage immane.
… La Flaminia, l’Emilia, la Cassia, l’Appia che taglia l’Appennino su Brindisi. Il professore è euforico, per questa trasferta inedita, libero dai vincoli dell’Accademia. Sul Trasimeno, poi la Trebbia, il viaggio per l’Appenino, l’Abruzzo, il Volturno, i saccheggi della Campania terra di agguati…, l’assedio di Capua, la battaglia di Canosa, la presa di Taranto, Arpi, Herdonea, il paesaggio pugliese… Siamo alla vigilia della battaglia di Canne.
Vento e praterie. Lontano l’Ofanto che scintilla e la striscia sottile del mare davanti al Gargano. Non vedo che questo, mentre risaliamo a piedi la vecchia ferrovia Barletta-Canosa- Minervino. Canne della Battaglia va raggiunta così, lontano dalle grandi strade, col sole di mezza estate allo zenit nella controra, quando l’ombra è pesante, i fantasmi escono a mezzanotte e i trapassati si arrampicano per le radici delle fave. Caldo tremendo, come quel 2 agosto del 216 a.C. quando Annibale distrusse otto legioni.
Canne evocativa.
Quindi Siracusa, che richiama alla memoria il nome del grande Archimede, il genio del teorema, dei dischi ustori e delle macchine da guerra…
Marcello, quando seppe che un soldato romano l’aveva ucciso, si addolorò.
E dopo Siracusa, verso la Lucania e la Calabria, ultime roccaforti del Cartaginese per raccontare la fine della sua epopea italiana… A Capo Colonna, presso Crotone, sulle rovine del tempio di Hera Lacinia, Annibale fece incidere le sue gesta su una stele di bronzo che Polibio avrebbe fatto in tempo a leggere prima della distruzione. Da Crotone, l’addio all’Italia, in viaggio per Cartagine, all’epilogo della seconda guerra che porterà per sempre il suo nome: “La seconda campagna annibalica”.
Il mio viaggio continua in Tunisia, alla ricerca di Zama, dell’ultimo scontro con Roma. A Zama, Scipione copiò da Annibale la manovra avvolgente, con la quale tredici anni prima aveva distrutto l’armata romana.

Vent’anni dopo Zama: l’esilio
Sembra che il viaggio finisca qui, il suo e il mio. Di solito le sue biografie concedono poco spazio al tempo che gli resterà da vivere. Ma non è così. A Zama Annibale aveva 46 anni, morirà a 66 anni, quindi gli resteranno ancora vent’anni da vivere, e non sono pochi. A Cartagine, da nemico giurato dell’Italia, diventa il miglior garante della pax romana. Sorveglia il pagamento dei danni di guerra e riesce anche a risanare le finanze della città.
Attacca i privilegi dei ricchi, ne denuncia gli abusi, scopre malversazioni.
Così facendo si mette però in urto con la classe dirigente, che comincia a complottare contro di lui. Patria ingrata: un’ambasceria è mandata a Roma, dall’ex nemico, e Roma pretende che il vincitore di Canne sia tolto di mezzo.
Ma lui fiuta il pericolo, salta su una nave e scappa fino a Tiro, l’attuale Libano.
Non ha pace nemmeno lì. Si trasferisce a Efeso e incontra Antioco, re di Siria. Gli dà consigli strategici, torna in Libano - l’antica Fenicia - e gli procura una flotta. I Romani si inquietano, temono che il nemico risorga dalle ceneri, e ne richiedono la consegna.
Spiegano che mai sarà pace sicura per i Romani finché Annibale vivrà. Così lui è costretto a scappare e rifugiarsi a Creta.
È il 189. Sono passati 13 anni da Zama e Annibale è approdato sul porto di Lesena. La storia scivola nella mitologia. Chi sa se a Creta, all’ombra mostruosa del Minotauro, il nostro non abbia avuto il tempo di ripensare a quel sogno, riavvolgendo il filo di Arianna della propria vita. Roma, intanto, sotto i suoi occhi, nel Mediterraneo continua la sua irresistibile ascesa.
Ma non si sente sicuro neppure a Creta, dove temendo di essere derubato del suo tesoro, riparte per la Siria e la Turchia, dirigendosi in Armenia.
Difficile spiegarne i motivi. Per me il viaggio è più agevole, perché lo faccio in aereo. Alle porte dell’Asia, è già Armenia, e ci arrivo con un volo da Monaco, perché lì c’era stato lui pure, su quelle montagne, per fondarvi una città, Artaxata (Jerevan) sotto le nevi dell’Ararat, dove sbarcò Noè [il monte è nel territorio turco - appena oltre il confine - mentre il paese si è fuso con l’URSS].
L’aereo decolla nella pioggia sopra piccole luci azzurre, poi emerge come l’Arca su un mare di nubi illuminate dalla luna. Sotto di noi, passano lenti i Balcani, il Bosforo, l’Anatolia: ma quanta strada ha fatto Annibale? Di Annibale in fuga ho scarse notizie, salvo che compare qua e là come un lampo nel buio.
Arriviamo alle tre di notte, albeggia appena. Quando la brina si dirada, la montagna emerge immensa, immateriale, su un materasso di vapori. L’Ararat per gli armeni è un Dio immenso come il Sinai per gli Ebrei. Annibale propose al re Artassa - che accettò la proposta - di edificare una città, che avrebbe assunto lo stesso nome del re, così fu proclamata capitale dell’Armenia.
Cosa cercava Annibale fra queste montagne? Forse niente di diverso da ciò che lo spinse a sfidare la morte in battaglia: l’immortalità della memoria.
Ci inerpichiamo su per la montagna, lasciamo la strada principale e deviamo per una gola nascosta dove intravediamo un pastore col suo gregge. Offre agli ospiti pane, formaggio e vino rosso in una brocca di terracotta, forse ha il sapore della prima vendemmia di Noè. Il pastore mi chiede perché sono venuto. Gli rispondo che sto cercando un uomo chiamato Annibale, passato da queste parti duemila anni fa.
Ah! Annibale - risponde il pastore - quello che ha fatto il grande giuramento contro Roma! Nel mentre si avvicinano i figli, la moglie, altri pastori. Resto di stucco! Un pastore che conosce Annibale in mezzo al Caucaso! Lui mi guarda come per dire: ora devi dirmi tutta la storia! Mi accorgo che attorno al fuoco s’è fatto silenzio e sono tutti in attesa. E io racconto la storia di Annibale partendo dalla fuga di Cartagine, il passaggio del Rodano, l’attraversamento delle Alpi e gli elefanti. S’è come creata una situazione omerica, come quando Ulisse racconta la sua storia ai Feaci, mentre io la racconto attraverso Zarian, la mia guida e il mio interprete.
Ma poi, raggiunse il suo scopo?”, chiese alla fine del racconto il pastore.
Sì, gli rispondo, se siamo ancora qui, dopo ventitrè secoli, a parlare di lui, perché Annibale il suo scopo lo raggiunse perché credeva nell’immortalità della memoria.È come se la sua ombra oggi fosse scesa fra di noi per bere lo stesso vino”.
Ma il viaggio di Annibale continua in Bitinia dove è accolto dal re Prusia col quale s’accorda di fondare una seconda città; anche questa prenderà il nome del sovrano, si chiamerà Prusa, prima capitale dell’impero ottomano.
Il viaggio cerca il suo capolinea in un’alba color rame che bagna i monti del Tauro.
La storia finisce qui, nel 183 a.C., vent’anni dopo la partenza di Annibale dall’Italia. Annibale s’è costruito un rifugio a Libyssa, sulle sponde del mar di Marmara, non lontano da Bisanzio, ma i Romani non lo lasciano in pace nemmeno lì. Un’ambasciata guidata da Tito Quinzio Flamininoè andata dal re Prusia per reclamare la testa dell’illustre ospite, e il re accetta per avere l’appoggio di Roma contro il regno confinante di Pergamo; e allora Annibale, vistosi perduto, dopo aver imprecato contro la vita, beve il veleno.
Aveva 66 anni.
È finito il mio viaggio nel tempo, il più lungo e complicato che abbia fatto finora. Dall’Atlantico all’Ararat, rivedo un film pieno di facce antiche, sospeso fra storia e leggenda.
La storia, questa storia, non sta solo nei libri, ma soprattutto nella capacità di raccontarla, magari di raccontarla in gruppo. E allora mi sovviene di quando - parlando dell’autore dell’Iliade e dell’Odissea - s’adombra il sospetto che a far rivivere quegli epici racconti non sia stato un solo cantore, il mitico Omero, ma con lui altri aedi.
Un lungo viaggio alla scoperta di Annibale per scoprire poi solo ciò che gli storici biasimano: atmosfere, voci, leggende, sogni, visioni… Ma cosa, se non il sogno, ci spinge a viaggiare? Ecco, questo è il senso finale del mio viaggio per ricordare Annibale, il senso della mia esperienza, che stasera voglio trasmettere a voi… Vanno bene le biografie del grande condottiero punico, va bene una meticolosa ricostruzione della sua vicenda umana e militare, ma ciò che conta più di ogni altra cosa, è la nostra intima, emotiva partecipazione a
questa storia, e - a nostra volta - la capacità di raccontarla ad altri… Io credo che nessuno ha lasciato in Italia tante mitiche orme, quante ce ne ha lasciate Annibale nella sua epopea italica…
Mi sia consentita una riflessione finale: ci troviamo di fronte ad un grande condottiero e a una grande battaglia
a poca distanza dai luoghi in cui questo famoso scontro avvenne…
L’auspicio, ragazzi, dopo la lettura del mio libro e dopo aver visionato la mostra, è che la vostra abilità narrativa sia quella di trasformare questi luoghi e questo evento in una grande risorsa storica, culturale, ma anche turistica.

Paolo Rumiz
(marzo 2017)

<< vai all'indice del canale

© 2003 - Editrice Rotas Barletta. Tutti i diritti sono riservati.