Via Ettore Fieramosca

Il protagonista dell’epica Disfida è, senza alcun dubbio, il capitano di ventura Ettore Fieramosca da Capua, nato nel 1476 da Rinaldo, un ricco gentiluomo di campagna, e da una nobildonna della casa di Gaetano d’Aragona. Al primogenito Ettore seguirono Guido o Guidone, Cesare e Alfonso tutti distintisi sul campo di battaglia e la sorella Porzia. “Figlio d’arte”, in quanto suo nonno e suo padre avevano militato alle dipendenze di Venezia, Ettore riceve un’ottima educazione umanistica e viene presto avviato alla carriera militare. Nel 1492 è al servizio di Ferdinando II d’Aragona al comando di una compagnia di balestrieri, con la quale combatte il re francese Carlo VIII. Partecipa all’assedio di Gaeta e poi nel 1500 giunge in Puglia agli ordini del Gran Capitano Consalvo da Cordova. Subito dopo la celebre Disfida il giovane Fieramosca, non ancora trentenne, si distingue in battaglie decisive come quella di Cerignola, e lungo il Garigliano.
Il 1503 è un anno ricco di soddisfazioni e sconvolgimenti nella vita del prode condottiero, il padre muore in battaglia lasciandolo erede di terre, case e armenti. L’anno dopo, con un diploma del 17 dicembre 1504, il re cattolico Ferdinando d’Aragona gli concede un feudo, per sè e per i suoi eredi, la contea di Miglionico, insieme ad altri privilegi. Nel documento regale si fa esplicitamente riferimento alla sua partecipazione alla disfida e al ruolo di comando che in essa egli ha ricoperto.
Antonio De Ferraris, detto il Galateo suo contemporaneo, parla del cavaliere campano in tono rispettoso ed ammirato: “È meraviglioso come in un così piccolo corpo sia animo tanto grande, e, in lui giovane, prudenza di vecchio, perizia di cose militari, modestia e religione”. E traccia così i contorni di una figura di cavaliere ideale onesto e coraggioso che Massimo D’Azeglio riprenderà nel suo romanzo “Ettore Fieramosca ossia La Disfida di Barletta”. L’intellettuale torinese proprio al futuro rivale francese La Motte, lascia il compito di introdurre il suo protagonista: “…Quel giovine pallido, coi capelli castagni, e non penso d’aver mai veduto un viso d’uomo più bello né più malinconico del suo…” Tocca all’amico Inigo Lopez descriverne il carattere: “A voi piace il suo viso, ed a chi non piacerebbe? Ma cos’è per un uomo la bellezza? Se conosceste l’anima di quel giovane! La nobiltà, la grandezza di quel cuore! Ciò che egli ha osato coll’armi in mano con quell’arrischiato valore che nei più va unito ad una certa ebbrezza, ma in lui all’opposto fra i maggiori pericoli è sempre congiunto a freddo consiglio!… In vita mia ne ho conosciuti di bravi giovani, e alla corte di Spagna e in Francia; ma vi dico da uomo d’onore, un insieme come quell’Italiano, che perdio, riunisce tutto, non l’ho trovato, e non penso di trovarlo più”.
Ettore Fieramosca al culmine della notorietà inizia ad avere non poche disavventure, in seguito al trattato di pace tra Francia e Spagna, è obbligato a cedere quasi tutti i suoi possedimenti. Per far valere le sue ragioni si reca a Napoli nel 1505, ma in seguito alla sua condotta ribelle nei confronti del Vicerè spagnolo Consalvo da Cordova, che pure gli aveva offerto un indennizzo in denaro, viene rinchiuso in carcere.
I problemi economici e la sua perizia militare lo convincono a offrire la sua esperienza alla Repubblica di Venezia e nel 1512 è di nuovo sul campo di battaglia a Ravenna, contro i nemici di sempre: i Francesi.
Dopo numerose altre audaci imprese Fieramosca sbarca in Spagna dove, secondo alcuni storici finisce i suoi giorni godendosi le ricchezze accumulate, secondo altri, invece giunge nella penisola iberica per cercare i favori della corte spagnola perché ha dato fondo alle sue risorse.
D’Azeglio a conclusione del suo romanzo scrive: “si fecero varie congetture sulla sua fine; tutte però vane ed incerte...” poi segnala come ipotesi più probabile quella di uno spettacolare suicidio, Ettore in preda alla disperazione per la morte dell’amata Ginevra si butta a cavallo dal monte Gargano. Invece si sa per certo che il condottiero capuano muore a Valladolid nel 1515, all’età di 39 anni. Solo la fine delle sue spoglie rimane avvolta nel mistero, probabilmente rimaste in suolo iberico, ma mai ritrovate. (M. Ruggiero)

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