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Adriana Borraccino
un romanzo a 16 anni

Una trama semplice, lineare, solare, quella imbastita da Adriana Borraccino per il suo romanzo Tu che fai parte di me. Già dal titolo una semplificazione lessicale, una esplicita anticipazione del contenuto del suo libro, una storia di ragazzi scritta per ragazzi, cioè per coetanei, perché Adriana è giovane, giovanissima, e ha cercato con questo suo primo romanzo di rivivere, in un libro, la sua adolescenza, le sue amicizie, le sue attese, in una parola, la sua età. Ci introduce così, fin dalle prime battute, nel suo mondo, fra i suoi amici, i loro riti, il loro disinvolto linguaggio. Romanzo dunque, già a prescindere dal suo valore letterario, come testimonianza di un tempo, di una generazione.
Cerchiamo di analizzarne il contenuto rifratto in una figura prismatica, attraverso le sue molteplici sfaccettature. Cominciando dal suo contesto territoriale, la città di Barletta dove la vicenda si articola. Ma la città, appena sfiorata, non è mai descritta, neppure per sfuggevoli scorci, perché è lontana, diafana, su uno sfondo silenzioso, indefinito e approssimativo appena abbozzato. Una città che sembra abitata solo da ragazzi, che si ritrovano fra di loro in un frettoloso scambio di battute. Dunque a Barletta, una Barletta appena percettibile nella sua indeterminatezza senza connotazioni temporali.
Quanto al tempo dell’azione, i nostri giorni contestualizzati con i ritmi della vita, mai un cenno allo scenario esterno, all’attualità dei nostri anni, perché il racconto è avulso dall’azione contingente circostante dove non ci sono neppure riferimenti a strade o luoghi di una consueta frequentazione.
Tutto il tessuto narrativo si gioca sul filo di una memoria interiorizzata, scandita da un dialogo a tre, i personaggi principali della storia: lei (la narratrice), Alessandro il ragazzo del cuore e Marco l’amico fraterno, e sullo sfondo gli amici, coetanei che frequentano le discoteche, vanno per gite o si intrattengono al bar della piazzetta a confabulare… Discorsi prevedibili, al limite di una banalizzata quotidianità, ognuno con la sua vita appena sfiorata, perché invece tutto il racconto si incentra sulla esuberante ricostruzione della protagonista. Una sorta di percorso identitario della sua età e della sua generazione riscoperto attraverso un linguaggio serrato, immediato, vivace…

*   *   *

Il romanzo è “colloquiale”, cioè si sviluppa, dall’inizio alla fine, in un ininterrotto dialogo fra i protagonisti. È una scelta di semplificazione narrativa dell’autrice, la quale, per rompere la monotonia dell’intreccio discorsivo, ha tentato anche di introdurre nel libro qualche situazione diversiva, anche se poi la storia torna a scorrere sui binari di una scontata prevedibilità, senza alcuna frattura emotiva.
Benché ispirato alla letteratura delle nuove leve, tuttavia il romanzo è scritto con un linguaggio tradizionale, mediante l’uso di una fraseologia essenziale, e il ritmo narrativo è spedito e disinvolto. Nessuna diversione, salvo qualche espressione gergale che potrebbe tuttalpiù scandalizzare noi “matusa” di un’altra generazione, ma consueto nel linguaggio standardizzato del suo tempo, anzi, fin troppo castigato, a sentire i suoi amici. Quindi un prudente destreggiarsi tra passato e presente, nel rispetto delle tradizionali regole narrative.
Per osare di più, Adriana avrebbe dovuto stare lontana dalla sua classe, dai suoi docenti, dalla sua famiglia… E poi vivere più a fondo e intensamente le trame letterarie dei suoi autori preferiti, fino a immedesimarsi in essi, nella loro emancipata narrazione, esperienze appena sfiorate che una successiva maturazione potrebbero semplificare in una più avvertita e progressiva assimilazione.
Per citare alcuni dei suoi autori preferiti, non solo da lei ma dai ragazzi della sua generazione, ci spiegheremo con qualche nome: Valentina D’Urbano (recentissimo il suo Il rumore dei tuoi passi), Anna Todd (autrice di After che ha venduto un milione di copie), Jamie McGuire (Uno splendido disastro), il mitico Stephen King (It), Nicholas Sparks (I passi dell’amore). E fra gli italiani, su tutti, Federico Moccia e Fabio Volo. Già, volare sulle ali della fantasia, prefigurarsi uno strepitoso successo di pubblico e di critica… Probabilmente non sarà così, mentre Adriana, più prudentemente, non azzarda consuntivi e considera il suo un promettente avvio che come tutti gli esordi va giudicato con generoso ottimismo.
Un libro scritto innanzitutto per se stessa, per provare che certe limitazioni non debbono condizionarci, limitandoci nella libera maturazione fisica e intellettuale, per noi stessi e per gli altri. È vero, tra lei e gli amici del racconto e i personaggi della vita vera non c’è identificazione, eppure non è difficile scoprire, nei loro modi di dire, nei loro intercalare, nei loro atteggiamenti privi di ostentazione, quel mondo al quale lei pure appartiene e che vuole raccontarci per il piacere di scrivere qualcosa di “suo”…

Avrà un seguito questo libro? e come sarà preso dai lettori? Dai quali non c’è da farsi illusioni, perché – è notorio – a Barletta si legge pochissimo, quasi un primato nazionale nella graduatoria negativa degli indici di lettura. Già, i lettori, che crediamo saranno innanzitutto giovani e giovanissimi come lei, per curiosità innanzitutto, per sapere che storia è, se è realmente autobiografica, con qualche pruriginoso tentativo emulativo che – diamolo per scontato – abortirà sul nascere.
La storia, in fondo, in sé, non riserva grandi sorprese, è una storia sentimentale, ma quello che conta di più è l’emergente freschezza del suo lessico familiare, l’esposizione colloquiale dell’intreccio narrativo, il modo di esporre e comunicare i propri sentimenti e quelli altrui, della sua generazione della quale essa si fa gioiosa interprete e disinvolta narratrice, riuscendo a trasmetterci i propri stati d’animo nel suo linguaggio immediato e comunicativo.

Renato Russo
(26 giugno 2016)

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